Tolleranza al limite
“Avvocato, ho tre figli e abito in un grande palazzo in centro. Trascorrendo più tempo in casa, sono emersi svariati problemi col vicinato: gli inquilini del piano inferiore cucinano cibi orientali che emanano odori fortissimi; nell’appartamento di fianco, invece, vivono delle studentesse che mettono musica e tv a ogni ora, spesso svegliando i bambini; infine, come ciliegina sulla torta, un condomino ha lasciato un biglietto scritto a mano, all’ingresso della terrazza condominiale, intimando tutti di usare l’area solo per stendere i panni. Io, però, vorrei usare quell’ampio spazio per dare lo svago ai bambini di giocare anche all’aperto. Come mi devo comportare in tutti questi casi?”
Chiusi in casa, molti di noi stanno sperimentando la nuova forma di “convivenza” con i vicini. Durante le prime settimane di “lockdown”, per esempio, si era diffuso il fenomeno dei “flashmob”, con canzoni patriottiche e non, “condivise” ad altissimo volume dai balconi; ancora, altri gruppi di vicini hanno trovato il modo di farsi compagnia a distanza prendendo il caffè “insieme”, ma da balcone a balcone, oppure avviando una nuova forma di “food sharing”, cioè scambiandosi pietanze culinarie “calate” nei cestini da piano a piano. Sempre con le dovute cautele. Non sono poi mancati i migliori esempi di solidarietà nei confronti di vicini anziani e/o bisognosi, evitando loro il rischio delle uscite per la spesa o altre incombenze.
Ma questo clima “rose e fiori” non si respira ovunque, anzi. È improbabile soprattutto nelle grandi città, dove, anche prima, la gente di uno stesso palazzo neppure si salutava incontrandosi sul pianerottolo. Adesso, però, la quarantena domestica ha fatto scoprire a molti il valore di vecchi luoghi come il cortile, il terrazzo o il corsello box che essendo – di regola – spazi comuni, implicano inevitabilmente l’approccio con gli altri condomini. Per evitare contrasti, dunque, è importante conoscere e rispettare le regole basilari nell’ottica della condivisione.
Che diritti si hanno, in particolare, sulla terrazza del proprio edificio? Il Codice civile individua come “parti comuni”, tra gli altri, i lastrici solari (comunemente detti terrazze), le scale, i cortili, le aree destinate a parcheggio e tutti quegli spazi che “per le caratteristiche strutturali e funzionali” sono destinati all’uso comune. Attenzione però, a tutti quei casi nei quali vi sia stata la cessione della proprietà della terrazza a un solo condomino (che in genere coincide con il titolare dell’ultimo piano). In questo caso, la terrazza sarà a uso esclusivo. Diversamente, ognuno potrà liberamente utilizzare la terrazza per le finalità più disparate, a patto di non pregiudicare il diritto altrui di fare altrettanto. La regola della proprietà condominiale, infatti, è quella del “pari uso e godimento” di un bene comune. Tra l’altro, anche la Corte di Cassazione ha recentemente precisato che non può essere precluso il godimento del terrazzo, trattandosi di parte dell’edificio destinato, appunto, all’uso comune.
Pertanto, una pretesa come quella avanzata dal condomino della signora che ci ha scritto, è impropria: è giusto che ognuno possa usare la terrazza comune non solo per la biancheria, ma anche per far giocare i bambini, per fare ginnastica, per prendere il sole o semplicemente una boccata d’aria, o, perché no, per ammirare un tramonto sorseggiando un drink.
Magari, e questo è solo un consiglio pratico, di buon senso e rispetto reciproco, sarebbe meglio evitare di avvicinarsi ai panni stesi altrui e stabilire degli orari o turni settimanali per intrattenersi in terrazza o in qualsiasi altro luogo comune, in modo che si evitino assembramenti non sicuri.
Al di là, poi, dei problemi derivanti dalla condivisione degli spazi comuni, la presenza prolungata in casa ha incrementato le condizioni perché si inneschi il motivo di lite per antonomasia tra vicini: quello causato dai rumori. Pensiamo, come nel caso della signora, ai giovani che per non annoiarsi mettono la musica “a palla” o a chi, avendo scoperto l’“insonnia da quarantena”, guarda la tv in piena notte. O ancora, ai pianti e alle grida dei bambini, anche la mattina, quando almeno, prima, erano a scuola. Per non parlare, poi, degli annoiati cronici compulsivi che reinventano casa spostando mobili o mettendo quadri e mensole con trapani o martelli. Che fare?
La denuncia per disturbo della quiete può essere proposta solo quando il rumore è tale da disturbare l’intero condominio, ledendo un numero indeterminato di soggetti (e in ogni caso occorrerebbe l’accertamento di un tecnico). Considerato, quindi, che nella maggior parte dei casi, il rumoroso vicino è avvertito solo dal condomino dell’abitazione adiacente, si potrà al massimo intentare una causa ordinaria per ottenere ilrisarcimento del danno, se effettivamente i rumori hanno compromesso gravemente il sonno e la tranquillità. In entrambi i settori, però, si deve superare la “normale tollerabilità”. Non sarebbe tollerabile, per esempio, fare “chiasso” per un tempo prolungato, nelle cosiddette “ore del silenzio”, cioè tra le 21.00 e le 8 del mattino. A ogni modo, il consiglio è quello di tentare sempre, preliminarmente, le vie bonarie: il primo passo deve essere cercare il chiarimento tramite il dialogo, oppure far intervenire l’amministratore di condominio affinché spinga al maggior rispetto. Se nessuna delle due iniziative sortisce effetto, si potrà inviare una formale lettera di diffida, tramite legale, dove si invita a cessare i rumori e a cambiare comportamento, prima di procedere con iniziative giudiziarie.
Anche fumi e odori, infine, possono infastidire al pari dei rumori, se non di più. Si parla addirittura di molestie olfattive. Ancora una volta, è il Codice civile che spiega come “regolarsi”, dicendo, in buona sostanza, che non si possono impedire le immissioni (fumo, esalazioni e propagazioni simili), a meno che non superino la normale tollerabilità. Un principio cardine, dunque. Ma anche relativo. Perché àncora la soglia di tollerabilità alla “sensibilità dell’uomo medio” e ai contesti abitativi nei quali si manifestano le immissioni fastidiose. Anche in questi casi, se i tentativi bonari sono stati vani e gli odori sono davvero insopportabili, non resterà che rivolgersi al giudice competente, il Giudice di pace. È tutto da vedere, però, se sarà veramente… di pace!
Dottoressa Michela Carlo
Studio Legale Bernardini de Pace