di Avv. Andrea Prati
“Buon giorno Avvocato, ho un’attività artigiana (sono idraulico), da prima di sposarmi. Non so nemmeno se mia moglie e io siamo in separazione o in comunione dei beni. Adesso però vogliamo separarci. Cosa succede alla mia attività?”
Innanzitutto, è bene chiarire che, se non avete espressamente scelto la separazione dei beni, il regime patrimoniale della Vostra famiglia è quello della comunione dei beni. Regime patrimoniale che, in mancanza di dichiarazione contraria inserita nell’atto di celebrazione del matrimonio, si applica automaticamente “di legge”. E’, in ogni caso, possibile optare per la separazione dei beni anche dopo la celebrazione delle nozze. A tal fine, è necessaria un’apposita convenzione che, a norma dell’articolo 162 del codice civile, deve essere fatta per atto pubblico (cioè ricevuta da un notaio). Comunque sia, la comunione legale dei beni riguarda il periodo successivo al matrimonio, nel senso che “cadranno in comunione” tutti i beni acquistati, e gli eventuali debiti contratti, da uno o tutti e due i coniugi, dopo le nozze.
E, secondo il codice civile, rientrano nella comunione anche le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Non è certo il Suo caso. Quindi, la Sua attività artigiana, creata da Lei solo e operativa da prima di sposarVi, è da considerare un Suo bene personale che, come tale, a norma dell’articolo 179 c.c., non rientra nella comunione legale dei beni. Però, secondo l’articolo 177 c.c., i proventi della Sua attività rientrano nella cosiddetta comunione de residuo. Ciò significa che, al momento dello scioglimento della comunione, quelli che sono i Suoi guadagni e risparmi “da lavoro”, se ancora non sono stati consumati, vi rientrano. E, dunque, andranno ripartiti tra Voi coniugi.
Lo scioglimento della comunione si verifica quando si realizzano determinati eventi che riguardano uno o entrambe le parti, espressamente indicati dal codice civile. Tra questi eventi vi è la separazione personale dei coniugi. E, in tal caso, l’esatto momento nel quale si verifica lo scioglimento dipende dalla forma della separazione. Se è consensuale, sarà la sottoscrizione del verbale ex art. 711 cpc, sempre che venga omologato dal Tribunale, a determinare la fine della comunione legale dei beni. Se, invece, il procedimento di separazione è giudiziale, sarà l’autorizzazione a vivere separati, disposta dal Presidente del Tribunale alla prima udienza, il momento nel quale si verificherà lo scioglimento della comunione. E’ bene precisare che la divisione dei beni compresi nella comunione non è una conseguenza automatica dello scioglimento del regime della comunione legale dei coniugi.
Ma, questa, sarà una scelta delle parti, le quali possono decidere di conservare la contitolarità dei beni, che semplicemente passano dalla comunione legale tra coniugi alla comunione ordinaria tra privati. Per procedere alla vera e propria divisione, e conseguente ripartizione, dei beni tra i coniugi è necessario o un accordo tra loro o un procedimento giudiziale.
Procedimento autonomo e distinto dal giudizio di separazione, non potendo essere il Giudice della separazione a decidere “chi tiene cosa per sé”. Se, una volta sciolta la comunione con la separazione personale, i coniugi non trovano un accordo per la divisione dei beni, chi intende promuovere il giudizio, prima di rivolgersi al Tribunale, secondo il D.L.vo 28/2010, deve necessariamente azionare la mediazione ai fini della conciliazione. Tale procedimento non contenzioso (il mediatore, infatti, non ha potere decisorio ma può solo aiutare a trovare l’accordo), per alcune materie (quale appunto la divisione della comunione), è, per legge, obbligatorio e condizione di procedibilità della domanda giudiziaria. Se, poi, in questo procedimento non litigioso non sarà possibile trovare una soluzione bonaria, allora non resterà che la strada giudiziaria della causa di divisione. Causa che, ovviamente, allunga i tempi e aumenta i costi della vertenza.
* Studio Legale Bernardini de Pace