di Avv. Andrea Gazzotti
Vorrei divorziare ma mia moglie mi chiede un assegno e l’intestazione della casa di mia proprietà: come posso evitare di avere un obbligo di “mantenerla” a vita?
L’articolo 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (legge divorzio), stabilisce che, su accordo delle parti, la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire in un’unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. La condizione essenziale è quindi che vi sia un accordo tra i coniugi.
La giurisprudenza prevalente ritiene che la corresponsione una tantum possa concretizzarsi, oltre che nel pagamento di una somma capitale, anche nell’attribuzione di beni mobili o immobili in proprietà o in godimento, o nell’impegno al trasferimento di tali diritti.
Nessun impedimento se l’una tantum si compone sia di denaro che di beni. Sembra quindi corretto affermare che tra le parti si configura una transazione il cui scopo principale è, soprattutto, quello di comporre in maniera definitiva ed esaustiva i rapporti patrimoniali tra loro. Mediante l’accordo si realizza in sostanza un contratto, la cui efficacia rimane però subordinata all’approvazione da parte del tribunale che ne valuta l’equità. Ci troveremmo, in sostanza, di fronte ad un contratto con uno schema complesso, formato da due elementi essenziali: la volontà congiunta delle parti e l’approvazione dell’autorità.
In tale valutazione, il tribunale dovrebbe tener conto di alcuni fattori quali i redditi dei coniugi, il loro patrimonio e le rispettive potenzialità economiche, l’esistenza del diritto all’assegno, lo svolgimento e la durata del matrimonio, il principio della solidarietà post-coniugale e i contenuti della separazione (giudiziale o consensuale che sia).
Diciamo dovrebbe perchè, nonostante la previsione della norma, la valutazione d’equità del tribunale si sostanzia molto spesso in un passaggio più formale che sostanziale, sul presupposto di fatto – che ritengo corretto – per cui la volontà dei coniugi deve ritenersi in qualche modo prevalente rispetto a una differente visione dell’ordinamento.
Infatti, dietro al denaro e/o al trasferimento di beni, vi sono vicende personali e di vita che spesso conducono le parti a valutazioni che assumono un significato non semplicemente economico.
La conseguenza legale del raggiungimento dell’accordo sull’una tantum è che le successive vicende personali dei coniugi diventano irrilevanti rispetto ai diritti che ne formano oggetto.
L’orientamento della giurisprudenza è molto chiaro sul punto: se viene corrisposta l’una tantum ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge sul divorzio, chi la percepisce perde la possibilità di avanzare in futuro qualsiasi pretesa su diritti di contenuto economico.
In conclusione, caro signore, l’unico modo per evitare di dover mantenere per sempre sua moglie, sarà quello trovare un accordo che potrà anche prevedere sia il trasferimento dell’immobile sia di altri beni (denaro) a titolo di capitalizzazione dell’assegno divorzile.
Resta ovviamente salvo il ricorso al tribunale in via contenziosa che – senza la volontà congiunta della parti – non potrà mai prevedere l’una tantum.
* Studio Legale Bernardini de Pace