di Avv. Benedetta Di Bernardo
Sono divorziato da due anni e la mia ex moglie, appresi i cambiamenti intervenuti nella mia sfera professionale, mi ha scritto tramite il suo legale reclamando parte del TFR che ho percepito. Ma davvero, malgrado io mensilmente le corrisponda l’assegno divorzile, sono obbligato a cederle parte dei frutti del mio lavoro, che finirebbero (anche questi) a mantenere lei e il nuovo compagno con il quale convive?
La Sua domanda trova risposta nell’art. 12 bis della Legge sul divorzio (L. n. 898 del 1970), il quale dispone che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze ed in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro”. La medesima disposizione prosegue, poi, precisando che il diritto sussiste “anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza” e che la “percentuale è pari al quaranta per cento (40%) dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
La ratio di questa ulteriore tutela che il Legislatore – solo a determinate condizioni (e cioè la titolarità dell’assegno divorzile e il non essere passato a nuove nozze) – ha voluto riconoscere all’ex coniuge economicamente più debole, è frutto di quella concezione rigorosamente assistenzialistica e compensativa della solidarietà post-coniugale, tornata in auge solo di recente: è stata la nota sentenza n. 18287/2018 resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, infatti, a imporre una drastica battuta d’arresto all’interpretazione distorta che dell’assegno divorzile era stata data nei trent’anni precedenti.
Il fondamento della norma in questione, infatti, laddove garantisce alla Sua ex moglie il diritto a percepire il 40% della quota di TFR da Lei maturata progressivamente e percepita dopo il divorzio, va ricercato nel contributo personale ed economico che si presuppone Sua moglie abbia dato alla formazione del patrimonio familiare e, indirettamente, anche del Suo patrimonio personale, negli anni nei quali il Suo rapporto di lavoro è coinciso con il Vostro matrimonio.
Come più volte ribadito dalla Giurisprudenza di Legittimità, infatti, questa norma “mira a realizzare una forma di partecipazione, sia pure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato, ovvero ad imporre la ripartizione tra i coniugi di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio, in tal modo soddisfacendo esigenze di natura non solo assistenziale (evidenziate dal richiamo alla spettanza dell’assegno di divorzio), ma anche compensativa, rapportate cioè al contributo personale ed economico fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” (Cass. Civ. 17883/2016).
Proprio perché l’obiettivo è quello di garantire la “partecipazione posticipata alle fortune economiche costruite insieme”, quando ormai insieme non lo si è più (e dunque solo se intervenuta pronuncia divorzile), la quota che spetterà alla Sua ex moglie andrà calcolata al netto degli eventuali anticipi di TFR da Lei chiesti e ottenuti non solo nel corso della convivenza coniugale, ma anche durante la fase separativa, prima che venisse proposta domanda di divorzio. Secondo la più recente Giurisprudenza di merito (Trib. Milano 29 gennaio 2020), non concorrono alla quota di spettanza dell’ex coniuge ai sensi dell’art. 12 bis L. 898/1970 nemmeno gli ulteriori emolumenti che, pur percepiti in occasione della cessazione del rapporto lavorativo, non siano strettamente qualificabili come TFR, quali gli incentivi all’esodo o l’indennità convenzionale per la dismissione dalle cariche sociali, giacché non costituiti da “somme accantonate durante il pregresso periodo lavorativo coincidente con il matrimonio, bensì si sostituiscono ad un mancato reddito futuro”.
Ciò chiarito, leggendo la Sua domanda vi è però un dato non trascurabile, e cioè la nuova convivenza di Sua moglie con il proprio compagno: sappia che, per Giurisprudenza costante, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto resta definitivamente escluso” (Cass. Civ. 18111/2017).
Ciò tuttavia non avviene in automatico: perché Lei possa ritenersi liberato dall’obbligo economico in favore della Sua ex moglie, è infatti necessaria una nuova pronuncia del Tribunale che – accertata la circostanza sopravvenuta e da Lei provata (la stabile convivenza di Sua moglie con il proprio partner, e dunque la costituzione di una nuova famiglia di fatto) – modificherà le condizioni divorzili revocando il diritto della Sua ex moglie a percepire l’assegno divorzile. Se si affretta, magari, riesce anche ad anticipare l’eventuale azione giudiziale della Sua ex moglie con riferimento alla quota di TFR e a farne venir meno il presupposto fondante (e cioè la titolarità dell’assegno divorzile).