il sì di noi avvocati alla trattazione scritta e all’udienza civile da remoto. Anche per il futuro
Aprile 2020, emergenza Covid19. Un intero paese bloccato a causa della pandemia e il nostro sistema giudiziario paralizzato. Un danno incalcolabile per milioni di persone, di società, di imprese e di lavoratori che alla “Giustizia” avevano affidato la loro vita e quella futura, sempre che il tempo per farla valere non fosse inclemente; una vittoria per tutti colori i quali nel farraginoso e lento processo avevano trovato la modalità per far regnare l’impunità.
Poi uno spiraglio, per moltissimi dei nostri clienti, ma anche per magistrati e avvocati, pronto a rivoluzionare il nostro sistema giudiziario civile, così come lo è stato il deposito telematico degli atti: la possibilità che il processo possa essere celebrato da remoto, in un’aula di giustizia virtuale, con il sistema della videoconferenza e che la trattazione di determinate udienze possa essere sostituita dalla quella scritta, con lo scambio di concise note.
È più facile a farsi che a dirsi: basta avere una connessione internet, un sistema di videocomunicazione, presente anche in qualsiasi smartphone, e un software già in uso alla maggior parte dei professionisti; non resta, quindi, che cliccare, all’ora indicata, sul link segnalato dal Giudice nel decreto di convocazione, e inserire la password. Sei nel processo.
A noi le rivoluzioni piacciono tantissimo ed è per questo che l’idea di celebrare l’udienza civile da remoto ci è sembrata, da subito, un’opportunità stupenda da sfruttare e sperimentare oggi, senza alcun ritardo; sulla quale puntare, investire (e certamente migliorare) domani, quando quest’emergenza – ci auguriamo – sarà passata. Nell’ottica di una sempre crescente razionalizzazione degli spostamenti, del tempo, dei costi e dello spazio ma, anche della rinnovata efficienza del nostro sistema giudiziario.
Eppure, anche stavolta, nonostante la portata rivoluzionaria del processo da remoto, non è mancato chi ha pensato di boicottarlo, di demolirlo, di criticarlo, di coglierne gli aspetti negativi e non quelli positivi, che sono senz’altro più numerosi. Intere categorie in rivolta: c’è chi ha parlato di scarsa tutela per l’assistito, chi ha tirato in ballo la privacy, chi il decoro della professione, chi la difficoltà nell’utilizzo di sistemi informatici ma anche chi ha improvvisamente rimesso in primo piano l’oralità del processo. Chi più ne ha più ne metta.
Viene il dubbio che chi ha espresso queste critiche forse non varchi la soglia del tribunale civile da troppo tempo: assembramenti di avvocati e clienti nei corridoi fuori dalle aule; intere giornate spese in attesa di un’udienza che durerà – sì e no – qualche minuto; professionisti che si spintonano per “impilare” sul tavolo del magistrato il proprio fascicolo d’ufficio; aule d’udienza affollate come il mercato a mezzogiorno, dove l’assembramento è la regola e la privacy l’ optional; giudici esausti ed esasperati dal litigio e dal chiacchiericcio continuo, neppure più disposti ad ascoltare (alla faccia dell’oralità del processo); clienti che si allontanano dalle aule ancora più sconfortati di quando sono entrati. Nessun beneficio, quindi, per nessuna delle categorie elencate: clienti, avvocati, magistrati. E tempi infinitamente lunghi per avere un provvedimento o una sentenza.
Che decoro c’è in tutto questo? Come può ritenersi rispettata la privacy di chicchessia? E’ così che pensiamo di combattere per i diritti nostri e dei nostri clienti? Quanto costa, al nostro sistema giudiziario, ai nostri assistiti e all’intera collettività questo inutile sperpero di tempo, di risorse, di denaro e questo continuo imbarazzo degli avvocati seri davanti alla giustizia? E, invece, ci è capitato di depositare – in piena emergenza Covid19 – istanze all’interno di procedimenti già instaurati e abbiamo notato, con piacere, un’insolita differenza: i giudici sono molto più efficienti e felici nel non vederci e ascoltarci.
La trattazione “scritta” e “sintetica” si è dimostrata più valida ed efficace di un’udienza fatta in corsa e di corsa. L’udienza da remoto, laddove necessaria, si è rivelata un eccezionale strumento per evitare costosi spostamenti e trasferte (anche tra città diverse), insostenibili (e a volte strumentali) differimenti, inutili attese; ha lasciato più tempo ai giudici per leggere, studiare e quindi per decidere. E, vi diremo di più, ha anche restituito un po’ d’ordine all’interno “dell’aula” di giustizia: il verbale è telematico e comprensibile, si parla, per forza, uno per volta e la trattazione è più sintetica. E, allora, se, questa drammatica quarantena alla quale siamo stati confinati, fosse l’opportunità per concretizzare, finalmente, la rivoluzione che diversamente non sarebbe mai arrivata?
La comparizione delle parti in Tribunale (personale e no) ben potrebbe essere limitata solamente a una determinata categoria di udienze, laddove effettivamente necessaria alla risoluzione della controversia e/o a una più proficua trattazione (per esempio alle udienze per l’interrogatorio libero delle parti, per il tentativo di conciliazione, per la prova testimoniale). Gli assistiti si sentirebbero così realmente ascoltati e i giudici, da quell’ascolto, non più privo di utilità, potrebbero trarre chiarimenti e utilissimi argomenti per decidere. Chi lo ritiene indispensabile, potrà partecipare di persona, gli altri potranno collegarsi da remoto.
Tutte le altre udienze – e nel processo civile ce ne sono troppe, assolutamente ridondanti, probabilmente frutto dell’ormai residuale trattazione orale del processo – potrebbero essere evitate e sostituite dal deposito di sintetiche note, guadagnandosi in velocità. In ogni caso, avvocati e magistrati, finalmente, sarebbero costretti perentoriamente a rispettare termini, brevi, per il deposito e per le decisioni.
Questo è il processo che sogniamo. E chissà che la pandemia, anziché lutti e dolori, non possa far nascere, per la gioia della giustizia, il solido e rapido processo da remoto. Un grande passo per la civiltà’ del nostro paese, che solo una giustizia veloce ed efficiente può garantire. Del resto, non era Albert Einstein a ricordarci che non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo? Che ogni crisi può portare progresso? Che la creatività nasce dall’angoscia e che è nella crisi che nascono creatività, inventiva e grandi strategie?
Avv. Annamaria Bernardini de Pace e Avv. Flaminia Rinaldi
Studio Legale Bernardini de Pace