di Avv. Marzia Coppola
“Gentile Avvocato, ho 34 anni e sono fidanzato con una ragazza che amo molto, ma che insiste per sposarci. Io preferirei non farlo. Ho sentito parlare di convivenza e di contratto di convivenza. Che cosa comportano l’uno e l’altro? Può essere una valida alternativa?”
Nel 2016, la legge Cirinnà, ha regolamentato i rapporti tra i conviventi ossia due persone che vivono insieme, legati da un rapporto affettivo e di reciproca assistenza morale e materiale e che decidono di non sposarsi. Per queste coppie, il solo fatto di essere conviventi (inteso come partner e non, invece, come parenti o meri coinquilini) comporta diritti e doveri.
La Legge Cirinnà, quindi, porta con sé una forte ingerenza dello Stato che trasforma un sentimento e una scelta della coppia in precisi oneri e onori. Questo a prescindere dal fatto che i due abbiamo la medesima residenza anagrafica: quello che conta è che vivano insieme. Per esempio, assumerà rilevanza giuridica l’ipotesi di due innamorati che convivono a Milano pur avendo la residenza anagrafica uno a Bologna e l’altra a Roma.
La legge del 2016 assicura alla coppia convivente molte garanzie proprie del matrimonio. Per esempio, i conviventi hanno diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali in caso di malattia o ricovero ospedaliero. Il convivente che presta la propria assistenza all’altro, poi, può godere dei permessi lavorativi retribuiti. Inoltre, uno può designare l’altro quale rappresentante per le decisioni in materia di salute, in caso di malattia che comprometta la capacità di intendere e di volere.
Se, poi, uno dei due conviventi dovesse venire a mancare, l’altro ha diritto a subentrare nel contratto di locazione della casa di comune residenza. Peraltro, qualora il convivente proprietario della casa familiare dovesse decedere, l’altro convivente potrebbe avere diritto (per un periodo comunque non superiore ai 5 anni) di continuare a vivere nella casa. In punto economico, la principale innovazione introdotta dalla Legge riguarda l’eventuale diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza. È importate notare che si parla di “alimenti” e non di “mantenimento” come avviene con la separazione.
La differenza è sostanziale perché i parametri per individuare i primi sono notevolmente più stringenti rispetto al diritto al mantenimento che la fine del matrimonio può portare con sé. Dunque, in caso di convivenza, vi è diritto a ricevere gli alimenti solo nelle situazioni più bisognose di tutela e solo quando uno dei conviventi non sia oggettivamente nella possibilità di provvedere autonomamente al proprio sostentamento. In ogni caso, la determinazione degli alimenti tiene conto della durata della convivenza, dello stato di bisogno di chi domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli.
Il contratto di convivenza
Quanto fin qui scritto, vale per tutti i conviventi. Tuttavia, le coppie che lo desiderano, e che magari vogliono avere alcune regole per sigillare la loro unione, possono stipulare il “contratto di convivenza”. Questo permette alle parti di disciplinare i loro rapporti patrimoniali e le modalità di contribuzione alle necessità della vita comune (sia in costanza di convivenza sia, eventualmente, in caso di cessazione del rapporto affettivo). I conviventi potranno decidere, per esempio, come dividere le spese di casa, come provvedere al pagamento del mutuo, decidere che uno dei due corrisponda all’altro un quantum mensile per far fronte alle spese personali, determinare come spartire i costi dei figli e così via. È possibile anche concordare il regime patrimoniale da applicare agli acquisti effettuati in costanza di convivenza (la comunione dei beni, legale o convenzionale, oppure la separazione dei beni).
Il contratto di convivenza, comunque sia, è uno strumento e non un obbligo. A mio avviso, è un atto di reciproca fiducia che permette alla coppia di stabilire delle regole e dei binari che garantiscano ordine e che prevengano anche qualche problema e brutta discussione. Certamente, infatti, un approccio più pragmatico all’amore e alla vita di coppia, può evitare problemi che potrebbero sfociare in liti magari irrimediabili.
In conclusione, dunque, rispetto a quanto avveniva in passato, la convivenza porta con sé alcuni diritti e doveri che non rendono davvero così libera la scelta di stare insieme ogni giorno e di dirsi addio da un momento all’altro. Forse lasciarsi sarà un iter meno complesso di quello della separazione e del divorzio ma, comunque sia, non sarà possibile chiudere la relazione senza doverne affrontare le conseguenze (anche giuridiche).
* Studio Legale Bernardini de Pace