di Avv. Daniela Caputo
“Gentile Avvocato, ho appena divorziato da mio marito. Il giudice ha stabilito che, dal prossimo mese, il mio ex non sarà più tenuto a corrispondermi l’assegno divorzile, in considerazione dell’ulteriore reddito non dichiarato che percepisco e derivante dall’attività lavorativa che svolgo in nero. Sono molto preoccupata, sia perché questo lavoretto non è una certezza, sia perché non riesco mai a guadagnare una cifra mensile fissa sulla quale fare affidamento. Inoltre, trovo assurdo che non vengano considerati 20 anni di matrimonio, durante i quali ho messo da parte me stessa per crescere i nostri figli e permettere al mio ex-marito di raggiungere l’apice della sua carriera lavorativa.”
L’articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio (legge 898/1970, come modificata dalla legge 74/1987) stabilisce che “il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio , dispone l’obbligo per il coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro l’assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Il primo presupposto che il quasi ex-coniuge richiedente deve soddisfare per ottenere il riconoscimento dell’assegno divorzile consiste nel dimostrare la propria non indipendenza-autosufficienza economica e, dunque, di non possedere i mezzi e/o capacità adeguati per provvedere al proprio e personale mantenimento. Per fornire questa prova non è sufficiente sottoporre all’attenzione del Giudice le sole dichiarazioni dei redditi. Queste, svolgendo una funzione tipicamente fiscale, non hanno carattere determinante nelle controversie di diritto di famiglia concernenti l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento o divorzile. Il Giudice, infatti, potrà andare ben oltre la semplice consultazione dei redditi dichiarati e fondare il proprio convincimento ricorrendo alla valutazione anche di altre risultanze probatorie quali la situazione economicopatrimoniale dei singoli, nonché lo svolgimento di lavoro irregolare. Questa analisi, dunque, deve essere necessariamente fatta in concreto, cioè caso per caso, considerando se chi chiede il mantenimento è ancora in età lavorativa, ha conseguito un grado di istruzione sufficientemente formativo, ha svolto pregresse esperienze lavorative, e, quindi, possiede la reale attitudine a svolgere attività produttiva retribuita. Secondo l’interpretazione dominante, anche lo svolgimento di lavoro in nero, dal quale derivi un reddito, in quanto espressione di effettiva attitudine e capacità lavorativa, può essere considerato dal Giudice prova sufficiente a escludere la necessità di reale bisogno da parte del richiedente. Quindi svolgere attività irregolare potrà comportare la negazione, la revoca o la riduzione dell’assegno di divorzio. Tuttavia, il parametro economico-reddituale del richiedente non è l’unico criterio che deve essere soddisfatto per poter riconoscere o negare l’assegno divorzile. La giurisprudenza, infatti, ha riempito di contenuto la norma dando un’interpretazione estensiva a quelli che sono i parametri di attribuzione.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del 2018, con una pronuncia dalla portata innovativa, hanno riconosciuto all’assegno di divorzio in favore dell’ex-coniuge oltre alla funzione assistenziale anche la funzione compensativa e perequativa. Dunque, ai sensi dell’art. 5, comma 6 della L. n. 898 del 1970, accertata l’assenza di mezzi adeguati del richiedente, l’impossibilità oggettiva di poterseli procurare e la disparità economica tra i due coniugi, il Giudice dovrà indagarne le ragioni e dunque dovrà valutare in concreto:
~ il contributo fornito dall’ex-coniuge richiedente alla condizione di vita familiare e alla formazione del patrimonio comune;~ nonché quello personale di ciascuno degli ex-coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
~ nonché quello personale di ciascuno degli ex-coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Quindi, gentile Signora, nel Suo caso sembrerebbe che il Giudice di primo grado abbia svolto l’esame della Sua posizione limitandosi a considerare esclusivamente e unicamente la Sua autosufficienza e capacità economica a provvedere al proprio mantenimento senza rapportarla alla funzione compensativo-perequativa dell’assegno, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970.
Pertanto, considerata l’incompletezza della motivazione data dalla sentenza emessa nel procedimento di primo grado, nella quale si fa riferimento al solo svolgimento di lavoro in nero, certamente, vi sono i presupposti per ricorrere al Giudice dell’Appello. Questa volta, però, cercando di fare valere in modo più incisivo tutto l’apporto, i sacrifici e i compromessi che ha dovuto sostenere e sopportare, per 20 anni di matrimonio, per dedicarsi alle cure della casa e dei figli e permettere al Suo ex-marito di crescere lavorativamente. A discapito della Sua realizzazione professionale.