{"id":1568,"date":"2008-11-17T00:00:00","date_gmt":"2008-11-16T23:00:00","guid":{"rendered":"https:\/\/abdp.it\/blog\/2008\/11\/17\/la-scelta-unitaria-va-resa-piu-chiara\/"},"modified":"2008-11-17T00:00:00","modified_gmt":"2008-11-16T23:00:00","slug":"la-scelta-unitaria-va-resa-piu-chiara","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/abdp.it\/blog\/2008\/11\/17\/la-scelta-unitaria-va-resa-piu-chiara\/","title":{"rendered":"La scelta unitaria va resa pi\u00f9 chiara"},"content":{"rendered":"

Dal 1975, in mancanza di una precisa e opposta scelta fatta espressamente al momento del matrimonio, il regime legale patrimoniale della famiglia \u00e8 quello della “comunione dei beni”; vale a dire che i beni acquistati nel corso dell’unione (anche se con molte e numerose eccezioni) da uno o da entrambi i coniugi sono automaticamente di propriet\u00e0 di entrambi. Questo meccanismo rispondeva, trentatr\u00e9 anni fa, alla duplice esigenza di riconoscere alle donne, allora in maggioranza casalinghe, una dignit\u00e0, anche economica, pari a quella del marito e di valorizzare l’apporto della moglie alla conduzione della vita familiare. Quella di allora era un’Italia in cui i risparmi delle famiglie erano custoditi nei conti correnti, oppure usati per l’acquisto della casa familiare. Pochi erano quelli che si permettevano di investire, giocando in Borsa e acquistando azioni o titoli. Non esistevano, allora, i tanti prodotti finanziari che oggi hanno invaso il mercato. Era un’Italia in cui le separazioni erano rare e il divorzio era legge da pochi anni. Per quel contesto socio-economico, pi\u00f9 semplice di quello attuale, erano state pensate le regole del codice civile sulla comunione dei beni, che hanno svolto un ruolo fondamentale nel nostro Paese; tanto che sino al 2000 la comunione era il regime patrimoniale preferito dalla maggioranza delle coppie di neosposi. Oggi, invece, 6 coppie su 10 scelgono il pi\u00f9 facile e snello regime della separazione dei beni. Perch\u00e9 \u00e8 cambiato lo scenario complessivo. In primo luogo la donna ha acquisito una maggiore indipendenza, professionale, sociale e personale. E ha dunque meno bisogno di tutele rispetto a quanto accadeva nel passato, quando era il marito il solo a gestire il “portafoglio”. E sono proprio le donne, oggi, quelle scarsamente interessate alla comunione dei beni, avendone obiettivamente meno bisogno. La comunione, peraltro, oggi \u00e8 diventata sempre meno interessante e sempre pi\u00f9 fonte di conflitti e contrasti. Le regole che la governano, infatti, sono rimaste le stesse e non hanno assorbito i cambiamenti che si sono succeduti negli ultimi tre decenni. Sono comparse sulla scena nuove forme di investimento, nuove modalit\u00e0 di far fruttare il denaro. Il confine tra attivit\u00e0 lavorativa e attivit\u00e0 speculativa \u00e8 diventato sempre pi\u00f9 labile. Giudici e avvocati hanno cercato di supplire alle carenze legislative, con il risultato per\u00f2 di aumentare l’incertezza: la discussione su cosa diventi di propriet\u00e0 comune (e quando) e cosa no \u00e8 sempre vivace ed animata. Infatti, contrariamente a quello che genericamente si pensa, non tutto quello che marito e moglie, separatamente o congiuntamente, comprano durante il matrimonio diventa di propriet\u00e0 di entrambi. Sono comuni i beni immobili, a meno che non siano ereditati, donati o acquistati con denaro derivante dalla vendita di beni personali (e ci\u00f2 sia espressamente menzionato nel rogito di acquisto); sono comuni anche le azioni, cos\u00ec come le obbligazioni e le quote dei fondi di investimento; per le quote di srl occorre verificare se sono una mera forma di investimento oppure se la societ\u00e0 \u00e8 stata creata per un’attivit\u00e0 imprenditoriale. Per altre forme di investimento misto (polizze, piani di accumulo, etc.) la discussione continua. Complicato, poi, il discorso dei redditi da lavoro: non sono comuni ma lo diventano solo se esistono ancora quando la comunione si scioglie; e ci\u00f2 avviene quando marito e moglie lo decidono assieme oppure se interviene una pronuncia del Giudice, in presenza di determinati presupposti. La comunione si scioglie anche successivamente alla separazione personale (consensuale o giudiziale) dei coniugi. In questo caso, il pi\u00f9 frequente, marito e moglie devono prima aspettare la sentenza di separazione personale e poi domandare la divisione dei beni comuni. Con due distinti processi uno successivo all’altro. Il ch\u00e9, \u00e8 evidente, comporta oltrech\u00e9 una notevole perdita di tempo anche un inutile e dispensioso raddoppio delle spese di legali e periti contabili, che, dovranno dibattere cosa e quanto possa rientrare nella comunione e dunque essere poi diviso Dunque, la scelta della comunione, oggi, complica ancora pi\u00f9 le cose. Queste difficolt\u00e0 dovrebbero indurre a riflettere sulla necessit\u00e0 di riformare l’istituto, mettendo gli sposi di fronte a una scelta chiara: per esempio stabilendo che, con l’opzione della comunione, come nel diritto anglossassone, qualunque bene, acquistato dal matrimonio sino alla domanda di separazione, diventer\u00e0 di propriet\u00e0 comune. Una regola semplice per rendere effettiva e pi\u00f9 consapevole la comunione che, se non riformata, continuer\u00e0 ad essere un argomento in pi\u00f9 per litigare e discutere in Tribunale. ,Avv. Annamaria Bernardini de Pace ,Avv. Alessandro Simeone<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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