Le donne del «se non ora quando», invece di andare nuovamente in piazza al grido «riprendiamoci la politica», dovrebbero partire da principi più alti per raggiungere obiettivi più concreti e importanti. Per esempio, dovrebbero lanciare un «riprendiamoci la dignità», per onorare la posizione di pari dignità giuridica e sociale, conquistata grazie al coraggio e all’impegno della precedente generazione femminile. Impegno, soprattutto politico, anche se svolto e attuato senza sedere nei luoghi di potere. Il movimento femminista e le più raffinate e convinte menti femminili degli ultimi 50 anni, hanno infatti consentito alle donne di oggi di vedersi riconosciuti i diritti fondamentali della libertà, dell’identità e, appunto, della dignità, fino a poche decine di anni fa compressi o del tutto disconosciuti dalla società e dalla legge. Diritti, oggi, malintesi e maltrattati proprio dalle donne. Il paradosso che si è creato è, però, quello per cui, ancora solo 30 anni fa, una donna si vergognava di denunciare la violenza sessuale dell’uomo o, se lo faceva, non veniva creduta, quanto invece addirittura dileggiata. Mentre oggi, la donna è diventata così forte e feroce, persino da poter denunciare uno stupro, riuscendo a sollevare immediatamente polveroni di difese, fiaccolate e aggressioni ai rom, presunti colpevoli della violenza. Anche se lo stupro è inventato di sana pianta. Come nel caso della sedicenne di Torino che, per coprire le proprie miserie esistenziali, ha innescato una reazione progressiva di attacchi corali ai presunti attori dell’inesistente misfatto. Prima di rivelare la sua menzogna, infatti, la ragazza aveva acceso gli animi dei suoi coetanei e degli abitanti del quartiere che, mossi non si sa se da spirito di giustizia, voglia di vendetta o mentalità razzista, avevano subito organizzato un raid punitivo e incendiario nel campo rom. Nella logica antigiuridica e disumana per cui a violenza si reagisce con violenza. Salvo poi, la sedicenne in questione, dichiarare, con la stessa spensierata semplicità, che non aveva mai subito alcuno stupro e che, invece, voleva, con la menzogna, distogliere l’attenzione dai suoi rapporti sessuali con un uomo più grande di lei. Ebbene, cosa ne sa, questa ragazza, della dignità? Mentire, accusare ingiustamente, vittimizzarsi strumentalmente significa, prima di tutto, non rispettare se stessi. E, in ogni caso, non considerare né le conseguenze dei propri comportamenti, né il prossimo. Dunque, vuol dire non avere il senso dell’onore, cioè la dignità. Il senso di sé. Il ragionamento è identico se la menzogna, come alcuni sospettano, non è frutto della mente della ragazza, bensì dei suoi amici razzisti, che avrebbero indotto la sedicenne a simulare la sua posizione di vittima. Chi ha dignità, non strumentalizza né si lascia strumentalizzare. Che dire allora di tutte quelle donne che organizzano cortei dichiaratamente politici, e per interessi solo politici, strumentalizzando l’essere donna, per elemosinare attenzione e poltrone? Quale sarebbe, secondo loro, il privilegio o l’handicap che avremmo noi donne per pretendere un’attenzione specifica, che non sia quella ai meriti personali dimostrati? È impossibile non fare il parallelo fra una sedicenne che denuncia falsamente uno stupro – per interessi personali o indotta da altri, ma certa di essere creduta perché donna – e un gruppo di intellettuali che a gran voce spaccia apoditticamente il proprio genere biologico, per una qualità da apprezzare senza discutere: nell’una posizione e nell’altra non si può non vedere la sicumera di chi continua a pretendere tutela, solo perché in passato è stata debole e vittima della società. Questa è la mancanza di dignità, di molte donne. COMMENTA Login / Registrati alla community e lascia il tuo commento aiuto Che dovrebbero darsi da fare, invece, per capirla e conquistarla, prima che le nuove generazioni non sappiano più che cosa sia la dignità. «Se non ora, quando?».