Il ministro Brunetta dichiara guerra ai magistrati “fannulloni”. L’ANM reagisce furiosamente. E il Guardasigilli Alfano bacchetta l’ANM: non può dire che “se la giustizia va male la colpa è del resto del mondo, mai dei magistrati”. Sono figlia di un magistrato e quindi sono nata e cresciuta nel rispetto per i giudici e con l’amore del giustizia. Mio padre era stato a suo tempo il più giovane magistrato alla procura generale, ma aveva poi dovuto scegliere di lasciare e di intraprendere la professione di avvocato, perché allora, negli anni ’60, lo stipendio era inadeguato a mantenere quattro figli. Nel frattempo la situazione della giustizia, anche delle retribuzioni, è significativamente cambiata e non credo che, se mio padre fosse ancora vivo, potrebbe oggi continuare a onorare e decantare l’istituzione giudiziaria come allora. Tanto decantata che proprio lui mi aveva convinta a non fare gli esami di magistrato – come io fortissimamente avrei voluto dopo la laurea – perché mi considerava troppo passionale e fantasiosa per assolvere con equilibrio una funzione così delicata. Negli anni, oltre a giudici cari amici di famiglia, ne ho conosciuti tanti davvero bravi, scrupolosi e onesti. Capaci anche di interpretare la legge seguendo l’evoluzione sociale nel tempo; diligenti fino al punto di trascurare affettuosi impegni familiari per depositare nei termini una sentenza; eroici – spesso mi è capitato – nel tenere udienza anche quattro ore di fila e fino a sera, per concludere complessi accordi tra coniugi. Quindi magistrati ottimi, garbati, capaci ce ne sono. Ma troppo pochi. Ne incontro ogni giorno in tutta Italia, invece, sciatti, svogliati, ignoranti, incapaci di scrivere non solo con grafia intelligibile, ma addirittura con la sintassi che tutti conosciamo. Ci sono giudici prepotenti, che gestiscono con fastidio e arroganza le udienze, incapaci anche di ascoltare le parti e i legali, sordi a ogni legittimo e sacrosanto gesto di difesa. So di altri, e altre, che conducono amicizie pericolose e molto sessuali con avvocati e avvocatesse che patrocinano nel loro stesso distretto. Di altri ancora, che hanno uno stile di vita molto più costoso di quanto il reddito, ora più significativo,possa permettere. Ma so soprattutto di giudici che hanno precise e forti passioni politiche che riversano, senza equilibrio e onestà, in tutti i provvedimenti e nell’attività giudiziaria. Di pm che trascurano rapimenti e molestie, ma anche omicidi, per aggredire invece qualcuno appartenente alla parte politica avversa con, per esempio, plurime contravvenzioni per abuso edilizio. E poi, lo vedono tutti, i giudici ormai decidono la composizione delle giunte provinciali, stabiliscono chi debba essere il conduttore televisivo di un determinato programma, quale concorrente debba o no partecipare ai concorsi di bellezza, chi possa o no governare l’Italia. Ma ci sono anche magistrati del tutto fuori di testa, come documenta Stefano Zurlo nel libro “La legge siamo noi” (Piemme edizioni): giudici che cospargono di Nutella il bagno del tribunale; che copiano interi brani di Simenon per allungare il brodo delle sentenze; che partecipano a regate oceaniche mentre sono assenti dalle aule perché “in malattia”; che per non pagare il conto al ristorante, dopo aver mangiato, chiamano i carabinieri e fanno sequestrare il ristorante reo di servire pesce avariato; che concedono a un detenuto di incontrare la figlia il giorno del compleanno per….dodici volte all’anno. Ci sono tanti magistrati donne, di grandissimo valore che vengono soppiantate nella carriera e negli onori dai colleghi maschi politicizzati o con maggiori opportunità di gestione del potere: l’ambiente della giustizia, infatti, è fortemente maschilista, anche a scapito delle avvocatesse che possono testimoniarlo perché vittime loro stesse, se non protette da un maschio potente. Nel territorio giuridico, dove la pari dignità tra i generi dovrebbe essere categorica, invece molti magistrati e magistrate, mescolandosi furbescamente con avvocati e avvocatesse, la disonorano ogni giorno con i soliti comportamenti di non gratuita beneficenza sessuale. Vostro onore, un corno! Di conseguenza, come si può credere nell’indipendenza, competenza e serenità della giustizia? Non ci si può credere, infatti. E Alfano dovrebbe sapere che i cittadini si armano ogni giorno di speranza e gesti scaramantici; evitano di ricorrere ai tribunali scegliendo piuttosto la strada della mediazione e degli accordi stragiudiziali; si tengono pronti a fronteggiare gli innumerevoli errori giudiziari. Alfano deve sapere e poter vedere. La civiltà di un Paese si misura dall’attendibilità della sua struttura giudiziaria. E il nostro è un Paese incivile: provi a rendersene conto il ministro della Giustizia, girando davvero l’Italia, in nome del popolo italiano, e facendo, basta una volta per tutte, il turista per cause.