di Avv. Andrea Prati
“Buon giorno Avvocato, sono sposata da 20 anni. Quando ci siamo sposati mio marito e io abbiamo comperato, insieme, la casa dove viviamo che è intestata a entrambi al 50%. Non abbiamo figli. Lui guadagna molto più di me. Adesso abbiamo deciso di separarci. Posso pretendere che la casa sia assegnata a me?”
Fino a qualche decina di anni fa, l’assegnazione della casa familiare poteva essere disposta anche nell’obiettivo di realizzare l‘equilibrio delle condizioni economiche tra i coniugi, con particolare favore verso quello economicamente più debole. E, così, tale decisione poteva assumere la funzione di provvedimento di contenuto economico avente funzione alternativa o sussidiaria rispetto all’assegno di mantenimento in favore del coniuge “più povero”.
Se già le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una sentenza del lontano 1995, avevano legato inscindibilmente l’assegnazione della casa familiare (che attribuisce al beneficiario un diritto di godimento esclusivo al di là del titolo di proprietà dell’immobile) all’affidamento dei figli, oggi è oramai pacifico e indiscutibile, secondo le previsioni di legge (articolo 337 sexies c.c., ma anche articolo 6 legge sul divorzio), che la concessione del beneficio è subordinata all’imprescindibile presupposto del collocamento dei figli minori e/o della convivenza con figli maggiorenni economicamente non autosufficienti.
E’, quindi, l’interesse della prole a conservare il proprio habitat domestico di riferimento il solo criterio considerato dai Giudici della separazione per dar luogo all’assegnazione della casa coniugale.
Lei, pertanto, nella Sua posizione di coniuge economicamente più debole, può al massimo ottenere un assegno per il suo mantenimento, ma non anche il diritto di abitare in via esclusiva nella Vostra casa familiare.
Invero, trattandosi di un diritto disponibile, nulla vieta che, in caso di comproprietà del bene e di esplicito accordo tra i coniugi, il godimento dell’immobile, mediante assegnazione dello stesso, possa essere riconosciuto a uno solo dei coniugi. Ciò, ovviamente, può avvenire anche nel Suo caso.
In assenza, invece, di espresso assenso dell’altro comproprietario, il Giudice della separazione non potrà disporre alcunché riguardo la casa familiare e la questione non potrà che essere risolta secondo le regole del diritto civile comune.
Al proposito, se da un lato l’articolo 1102 c.c., nel disciplinare “l’uso della cosa comune”, chiarisce che entrambi i comproprietari hanno pari diritto di utilizzare l’immobile cointestato (con i soli limiti di non cambiare la destinazione d’uso del bene e di non escludere l’altro da analoga facoltà d’uso), dall’altro è naturale che, venendo meno il matrimonio, e quindi il progetto di vita in comune, in un caso come il Suo, sembra quanto mai opportuno sciogliere la comunione sulla Vostra casa. Onde evitare, una volta slegati dal rapporto di coniugio, di restare “uniti” dall’immobile.
Certo, la soluzione migliore sarebbe quella di risolvere la questione proprio in sede di separazione, prevedendo che, in esecuzione di un accordo tra le parti ratificato dal Tribunale, uno di Voi divenga unico proprietario del bene. Definire la comproprietà, in questo modo e in questa sede, comporta, infatti, l’esenzione dalle imposte sul trasferimento del 50% da uno all’altro coniuge.
Se, invece, non è possibile risolvere la questione in sede di separazione consensuale, come detto non potrà essere il Giudice della famiglia a decidere sul punto, ma Lei e Suo marito dovrete fare una causa apposita di divisione immobiliare.
Prima di rivolgerVi al Tribunale, però, secondo il D.L.vo 28/2010, è necessario promuovere la mediazione ai fini della conciliazione. E’, questo, uno strumento deflattivo del contenzioso che, per alcune materie (quale appunto lo scioglimento della comproprietà di una casa), è, per legge, obbligatorio e condizione di procedibilità della domanda giudiziaria.
Se, poi, in questo procedimento non litigioso non sarà possibile tra Lei e Suo marito trovare una soluzione che preveda o la divisione in natura del bene (se “fisicamente e tecnicamente possibile”) o la vendita terzi con divisione del prezzo ricavato o, infine, che uno dei due divenga unico proprietario, allora non resterà che la strada giudiziaria della causa di divisione immobiliare. Causa nella quale, in ogni caso, le soluzioni possibili sono sempre queste tre.
Con la differenza che il giudizio comporta un aggravio di costi per le parti, tempi ben più lunghi e, facilmente, una contrazione del valore del bene in caso di vendita a terzi a seguito di asta giudiziaria.
* Studio Legale Bernardini de Pace