di Avv. Marzia Coppola
“Gentile Avvocato, sono fidanzato con Mario e nel mese di luglio celebreremo la nostra unione civile. Abbiamo tanto sentito parlare e letto in merito alla possibilità di aggiungere il cognome di uno di noi, ma siamo confusi in merito alle conseguenze che questa scelta potrebbe avere. Quale cognome possiamo indicare? I nostri documenti dovranno essere tutti rifatti?”
Secondo il diritto italiano, la donna quando si sposa mantiene il proprio cognome da nubile aggiungendo quello del marito. La moglie manterrà il cognome dell’uomo anche da vedova e, invece, lo perderà in caso di nuove nozze e di divorzio (salvo particolari ipotesi nelle quali, invece, anche con il divorzio, la donna potrà continuare a usare il cognome dell’ex marito). Questa è la regola e la moglie non può rinunciarvi. Tuttavia, l’aggiunta del cognome del marito non comporta conseguenze dal punto di vista amministrativo. L’annotazione, infatti, non viene riportata sulla carta d’identità, sulla patente o sul passaporto e neanche su tutti gli altri atti e documenti amministrativi.
Se, invece, l’amore che si vuole celebrare e sigillare è quello tra persone dello stesso sesso la situazione si complica notevolmente. Infatti, la legge Cirinnà (che nel 2016 ha regolamentato l’unione tra persone omoaffettive) ha – distrattamente – previsto che, con l’unione civile, le parti possano indicare il cognome comune che hanno stabilito di assumere oppure dichiarare all’ufficiale dello stato civile di voler anteporre o posporre il proprio cognome a quello comune. Tuttavia, la legge impone anche di procedere con l’annotazione nell’atto di nascita e nella scheda anagrafica di colui che ha deciso di assumere il cognome dell’altro. La previsione dell’aggiornamento della scheda anagrafica comporta, da un lato, il diritto all’uso del cognome comune e, dall’altro, implica la variazione dei documenti anagrafici con l’indicazione del cognome scelto.
Ed è proprio questa previsione, se letta e applicata “in valore assoluto”, a creare difficoltà e disordine. Infatti, questa regola porta con sé l’assurdo onere, per colui/colei che ha assunto il cognome dell’altro/a, di dover modificare il proprio codice fiscale, la propria carta d’identità e, in generale, rettificare tutti i documenti e i contratti dove la parte risultava avere solo il proprio cognome. In altre parole, si tratta di un vero e proprio cambio d’identità. Se, per esempio, la coppia è composta da due uomini e uno di loro ha avuto un figlio da una precedente relazione, con la celebrazione dell’unione civile e l’aggiunta del cognome, colui che è già padre si troverà ad avere un cognome diverso da quello del figlio.
Tuttavia, fortunatamente, nel disordine e nello sconforto che queste previsioni normative hanno portato con sé, è intervenuto il Governo – sei mesi dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà – emanando dei decreti attuativi (quindi indicazioni che specificano come applicare e interpretare il testo normativo). Questi decreti, finalmente, hanno previsto che il doppio cognome non implica la modifica di tutti i documenti.
Successivamente, nel 2017, anche la Corte Costituzionale è intervenuta specificando e chiarendo che le parti possono assumere un cognome comune solo come “cognome d’uso senza valenza anagrafica”. Senza, quindi, che questo comporti la variazione dei documenti del consorte che ha assunto anche il cognome dell’altro. Questa precisazione ovviamente è molto importante perché permette di evitare il “cambio d’identità”.
Tuttavia, non è oro tutto ciò che luccica. Infatti, l’immediata conseguenza del fatto che l’aggiunta del cognome non abbia valenza anagrafica è che quel cognome non potrà essere trasmesso agli eventuali figli. Considerazione e riflessione che può assumere un peso importante (e forse discriminatorio), per le coppie dello stesso sesso che in Italia sono riconosciute come genitori a corrente alternata.
* Studio Legale Bernardini de Pace