[“Senza paura, con gli occhi spalancati e il mondo che ci guarda aspettiamo il prossimo delitto” dice Concita de Gregorio nel suo editoriale, dopo aver dato del killer e del gregario a Feltri, colpevole – secondo lei – di essere al soldo del “sultano”. E ciò ha scritto dopo un’accorata difesa di Boffo, vittima – sempre secondo lei – di un omicidio mediatico e, comunque sia, così ricco di dignità da avere rinunciato a “farsi eroe” (e come avrebbe potuto? Ci ha provato, raccontando di essersi sacrificato per un povero ragazzo morto. Ma l’inquietante fola si è dissolta nell’imbarazzo categorico, anche dei preti). Ancora non riesco a capire come ci si possa indignare perché Il Giornale ha pubblicato una notizia sorretta dalla definitività di una sentenza e contemporaneamente continuare a pubblicare dicerie morbose, invocando in entrambi i casi la libertà di stampa. Non riesco a intravvedere la buona fede di chi regala compassione e solidarietà a Boffo, perché shakerato nel “frullatore mediatico” e contestualmente si sente perseguitato per la richiesta di risarcimento danni ricevuta da colui che per tre mesi è stato biecamente dileggiato dalla propria stessa penna. Ma soprattutto non riesco a comprendere Concita de Gregorio. Donna e madre di quattro figli. Dolcissima interprete del disagio femminile e in particolare della sofferenza che subiscono le donne oggetto della violenza maschile. Improvvisamente, con un gesto più stupefacente della rivoluzionaria tesi copernicana, Concita prende la difesa calorosa e misericordiosa di un molestatore. Molestatore di una ragazza giovane e per bene. Ingiuriata e perseguitata nell’intimo dei suoi sentimenti. A questo punto il fatto contestato a Boffo non è una diceria: è una certezza certificata da un atto pubblico e confermata dai magistrati coinvolti. Concita è una donna colta e intelligente e non può ignorarlo. Se lei per prima avesse scoperto la notizia di un reato del genere attribuito a un politico avversario (uno a caso) forse non avrebbe avuto dubbi nel pubblicarla e nel difendere con vigore la vera vittima di questi odiosi fatti, cioè la ragazza. Le avrebbe dedicato molti dei suoi intelligenti e consapevoli pensieri nel descrivere lo stato d’animo delle vittime della violenza: perché le molestie sono sempre espressioni di violenza, soprattutto se provengono da persone autorevoli e di potere. Avrebbe scritto – come ha scritto in casi simili – “perché la violenza è un prezzo, perché il tempo che viviamo chiede uno sforzo d’ingegno per conciliare la propria autonomia con l’altrui brutale insofferenza”. So che Concita aveva ragione quando la pensava così, perché io stessa ho con amarezza ricondotto la mia personale esperienza alla sua profonda analisi sui comportamenti prevaricatori. Concita avrebbe detto, ancora, che “la tolleranza della violenza è la cosa più spaventosa di tutte” e che, nella gerarchia della violenza, ci stanno anche ripetute telefonate, più o meno percepite come intimidatorie, che le donne oggi non devono più essere disposte a sopportare. Avrebbe detto, Concita, che è ora di smentire la “presunta forza femminile che si esercita nel tollerare la sopraffazione”. Concita avrebbe, poi, concluso affermando che simili soprusi, violenza sottile ma funesta, non possono restare nel buio delle case e dell’anima, ma devono essere denunciati e il persecutore esposto alle sanzioni della giustizia e, magari, al pubblico ludibrio. Concita avrebbe scritto questo e, se l’avesse ancora una volta pensato, tutte noi donne, che sappiamo, le saremmo state grate. Anche la ragazza di Terni, che non ha avuto paura e non ha sopportato. Invece, Concita ha difeso il molestatore: ha invocato per lui la privacy, anche se il suo comportamento è scritto in una sentenza. Ha apprezzato il fatto che lui negasse e non spiegasse nulla. Avrei forse capito la difesa di Concita, se lui avesse confermato: “si, è vero ma sono pentito e non lo faccio più”. In questo caso Concita avrebbe potuto aggiungere: “è il primo passo verso il riscatto del sopruso dei maschi”. Invece, Concita questa volta ha voluto vedere solo le presunte vittime di quello che lei definisce il “sultano”: le avide escort registranti, il giornalista cattolico patteggiatore, i giornalisti morbosi all’assalto, la stampa citata in Tribunale. Ma non ha visto, appunto, non ha protetto, non ha onorato l’unica, autentica, certificata vittima della violenza: la molestata. E così, proprio Concita ha compiuto il da lei annunciato delitto perfetto (titolo del suo filo rosso di ieri): Concita ha ucciso la Concita che molte donne amavano per la sua intelligente solidarietà, indipendentemente dal suo pensiero politico. In nome della legge?