L’ufficio stampa di una moglie silenziosa e che non parla soprattutto coi giornalisti, meriterebbe il premio Pulitzer 2009. Se non fosse, questo ufficio, strategicamente fantasma e se non avesse fatto, alla fine dell’abile operazione, un errore di calcolo. Dunque, la storia comincia alla fine di aprile, con una mediatica dichiarazione di lei che taccia il marito di immoralità pubblica e privata. Fatto grave, molto più dei pesanti addebiti contestati, perché mette, sia l’uomo politico sia il padre, alla gogna della piazza. Ma getta un’ombra sulla moglie, che appare eccessiva e sprovveduta. Subito, però, interviene il saggio e invisibile ufficio stampa, con l’obiettivo di recuperare migliori contorni all’immagine pubblica della donna, fino a quel momento, dolce e riservata e, soprattutto, per niente aggressiva. Ma anche per evitare che il marito colga al balzo la palla incandescente e quindi lui stesso chieda per primo la separazione. Sentito il suggerimento del mentore, la moglie annuncia, con opportuno tempismo, a Repubblica e Stampa, la sua volontà di separarsi auspicando di poter raggiungere un onorevole accordo sul punto. E poi si abbandona al silenzio, mentre l’Italia intera si interroga sull’ipotesi dell'”auspicato” accordo che, grazie alla maliziosa intelligenza dell’evanescente ufficio stampa, avrebbe dovuto prevedere l’equa ripartizione tra i figli del patrimonio paterno. E così il provvido e abile consigliere d’immagine fa centro, con la trasformazione mediatica di una moglie arrabbiata in una madre premurosa. Dopodiché interviene ancora una volta il silenzio ad ammantare di mistero viaggi e vacanze della sfortunata sposa che, tuttavia, continua a non ricevere segni di vita neppure dal marito. Riceve però qualche strale di troppo dalla stampa non amica. Questa situazione obbliga, a un certo punto, l’attento e segreto ufficio stampa, a esibirsi con un messaggio di ottanta parole sul Corriere della Sera. Un messaggio sibillino, ricco in verità di suggestioni trasversali e povero della minima chiarezza esplicativa. A seguire, l’ennesimo ormai rituale silenzio, corollario un po’ inquietante di ogni colpo di freccia più o meno andato a segno. La Signora, racconta qualcuno, è in attesa di una proposta dal marito fedifrago e “che non sta bene”. Il marito tace e passa per padre assente ed egoista, beccandosi in fronte anche un colpo di fionda dalla figlia piccola, che rilascia un’intervista nella quale auspica – come la madre – la pace in famiglia se il papà sarà “equo”. Si fanno i nomi degli avvocati e si dice che stiano negoziando un’intensa trattativa. Naturalmente nulla trapela, come è giusto che sia, perché i legali sono tenuti al segreto professionale. Dunque non è neppure certo che vi sia stata una trattativa. Arriviamo così ai giorni nostri. Sono trascorsi circa 7 mesi dalla prima infelice dichiarazione, dagli ulteriori messaggi subliminali e dai silenzi da più parte apprezzati come dignitosi, quando scoppia la notizia che rianima le redazioni, grazie alla boccata d’ossigeno offerta dal prezioso e segreto ufficio stampa: “Lei ha depositato il ricorso con addebito”. Suona quasi come un ultimatum e i giornalisti si scatenano nella corsa alla valutazione del patrimonio del marito-padre non equo. Pronto ormai a essere denudato da tutti i nemici politici, intestini e domestici. E’ l’apoteosi della strategia fino a questo punto ben riuscita del magico e nascosto ufficio stampa: la moglie in aprile appariva mediaticamente in torto; ora a novembre risulta vittima della sua generosa attenzione materna, contrapposta all’egoismo paterno. Tanto generosa da pretendere che il patrimonio del padre sia diviso tra i cinque figli (speriamo che non ne appaiano altri non ancora riconosciuti, se no i calcoli si complicano) prima che il loro padre muoia e dunque prima che chiunque di loro possa vantare un qualsiasi diritto. Il ricorso al Giudice deve sembrare a tutti l’inevitabile ed etica scelta di una madre preoccupata. La, facoltativa, ma voluta, richiesta di addebito, la necessaria bonifica, anche risarcitoria, di una moglie tradita. Invece, la realtà giuridica e giudiziaria è del tutto differente. Ed è una verità che non fa sognare per nulla i nemici del marito e gli amici della moglie. Il ricorso per separazione giudiziale infatti consente al giudice solo ed esclusivamente di decidere a) l’ammontare dell’assegno al coniuge più debole (quello che non ha, cioè, i mezzi adeguati per vivere lo stile di vita coniugalmente condiviso); b) l’ammontare dell’assegno per i figli (anche ,maggiorenni se non autonomi economicamente); c) l’assegnazione della casa coniugale comune; d) l’eventuale accertamento di responsabilità della frattura matrimoniale (cioè l’addebito). E basta. Ma davvero basta. Il Giudice della separazione non può dividere patrimoni, assegnare aziende, imporre consiglieri di amministrazione o riconoscere risarcimenti. Se poi sentenzia la responsabilità di uno dei coniugi – una volta provato rigorosamente il nesso di causalità tra il comportamento censurato e la inevitabilità della separazione – non è che “l’addebitato” di colpa possa essere condannato dal giudice a pagare un assegno più alto: l’unica sanzione è di non ricevere lui l’assegno di mantenimento e di essere contestualmente escluso dall’asse ereditario del coniuge incolpevole. Se poi mai, questo marito pubblicamente svergognato, dovrà pagare un assegno mensile alla moglie, avrà la gradita sorpresa di poterlo dedurre dal proprio reddito imponibile, così riducendosi, per lui, le imposte da pagare allo Stato, che invece pagherà la moglie: sicuramente un vantaggio per lui che, sinora, ha di sicuro speso molto di più per la moglie, senza mai potersi portare un euro in detrazione. In conclusione, alla fine, l’ammirevole astuzia comunicativa dell’ineffabile e sconosciuto ufficio stampa, non avrà fatto vincere la moglie che per soli sei mesi e solamente sui media. Allora il vincente sarà il marito, sì fedifrago, ma non spogliato del patrimonio: approfittando dei silenzi ombrosi, gli basterà studiare i pochi articoli del Codice che riguardano la separazione coniugale per capire di non essere obbligato ad avanzare alcuna proposta che preveda anticipate spartizioni patrimoniali; quindi per lui sarà stato meglio di ogni altra ipotesi, il ricorso individuale con domanda di addebito. E, per una volta negli ultimi 15 anni, questo strano marito, sarà felice che un giudice – certamente meno generoso di lui -possa decidere al posto suo. In nome della legge.