Sbatti il mostro in prima pagina. E lei, da esperta giornalista, l’ha fatto. Il mostro è il suo futuro marito. Lui è Angelo Izzo il pluriomicida e stupratore di donne condannato due volte all’ergastolo. Lei, Donatella Papi, è stata collaboratrice di Montanelli, Feltri, Giacobini, penne d’oro del giornalismo italiano. Li unisce la volontà del matrimonio. Tra loro. Notizia stupefacente, incredibile. Appartengono entrambi, più o meno, alla mia generazione e dunque, per cercare di capire, ho fatto un rapidissimo sondaggio tra le mie coetanee e le donne più giovani. Le prime hanno commentato a malapena, esprimendo essenzialmente lo sgomento e giudizi di orrore, soprattutto riferiti a lei. Le femministe, in particolare, hanno fortemente biasimato la mancanza assoluta di solidarietà della donna con le povere ragazze morte. Altre hanno parlato di sindrome della crocerossina e, altre ancora, di scherzi inquietanti della solitudine. Le più informate mi hanno fatto notare che questa vicenda fa parte di un macrofenomeno: i detenuti per i delitti più abbietti (Stevanin il Mostro di Verona, per esempio, o Pietro Maso, Vallanzasca e altri) hanno sempre avuto centinaia di fans “innamorate” che scrivono loro chili di lettere seduttive e consolatorie. Le donne più giovani, rispondendo al mio minisondaggio, sono invece tutte concordi nel ritenere che Donatella Papi abbia un preciso interesse, economico e non affettivo: la notorietà. Dalla notizia, alle interviste, alle apparizioni televisive e poi al libro se non al film, un fatto così non può – secondo loro – che portare al successo mediatico e, quindi, ai soldi. Possono essere verosimili tutte queste ipotesi e se ne possono elaborare ancora facendo ricorso alla scienza psichiatrica e psicologica. Bisognerebbe dunque pescare nell’inconscio di questa donna, bella e con un figlio quindicenne, che vuole unire il resto della sua vita a un massacratore di donne. Non si conosce la sua storia familiare più intima; la sua vita pubblica, invece, per quanto da lei raccontata, è oggi inaccessibile perché il suo sito è contrassegnato da Google come sospetto, in quanto un codice dannoso aggiunto lo rende intermediario di infezioni per chi vi si collega. Il che appare, peraltro, un perverso scherzo del destino. Una specie di porta insanguinata di Barbablù. Si dice, però, che i due promessi sposi si conoscessero da ragazzi poiché frequentavano il medesimo tessuto sociale e pare avessero in comune la militanza politica nella cosiddetta, per eufemismo, “destra pura”. In seguito lui ha abbracciato l’illegalità più violenta, finendo col diventare un efferato criminale, mentre lei è stata, per professione, competente testimone di un’Italia attraversata da difficili cambiamenti sociali e politici. Lui, in un’intervista televisiva di qualche anno fa, appariva ridanciano, esaltato, fintamente pentito e, anzi, quasi fiero di descrivere il suo modo di vivere in un branco che si nutriva della più orrenda violenza, convinto della superiorità del maschio sulla femmina. Un gruppo criminale che definiva le donne “pezzi di carne e non persone”. Ora, parlando di Donatella, lui dice di pensarla come “parte della mia carne, separata da un crudele incantesimo”. La sua carne, quella di Izzo, è destinata per sempre alla prigione, mentre la carne delle sue vittime è stata da lui crudelmente torturata e trucidata. Solo per questo, non tanto metaforico, collegamento emotivo, se fossi in Donatella farei una riflessione in più su quello che appare a tutti un insano progetto. Anche imbarazzante. Tuttavia molte donne amano i serial killer perché l’aspetto della distruttività evoca il loro antico narcisismo masochista, cioè il sontuoso ruolo di vittima che richiama contestualmente la forza della salvatrice. La donna, per antichi retaggi culturali, è preparata infatti ad essere vittima. Vuole continuare a esserlo in qualsiasi modo, a dispetto della crescita sociale e giuridica, nonché delle opportunità che caratterizzano la storia attuale. Il ruolo del dominante e del carnefice spetta all’uomo, tranne che in alcune alternative fantasie sessuali. Oppure, quale migliore occasione, per Donatella, al fine di studiare a fondo un carnefice, quella di porsi vittima delle sue mani e dei suoi pensieri? Il risultato potrebbe perfino essere un best seller intitolato “Esegesi di un mostro”. Questo potrebbe essere l’obiettivo di una giornalista futura scrittrice. Un obiettivo sacrificale, ma almeno con un senso compiuto. Se così non fosse, si potrebbe cercare di capire il disegno inquietante di Donatella chiamando in gioco la competitività femminile, fortissima e certamente priva di qualsiasi umana solidarietà, per non dire compassione. “Potrebbe massacrarmi, come ha fatto con le altre. Ma io sono più attenta e intelligente. Io sola saprò dargli l’amore che mi salverà”. Questo potrebbe essere lo spirito di Donatella nel coltivare una relazione così strana e pericolosa. Ma questa donna colta e intelligente potrebbe perfino credersi davvero innamorata del mostro. Perché no? L’amore non è logico, non è sempre meritocratico, spesso obnubila il cervello e ottenebra la volontà. Forse lei non ha mai trovato un uomo che le tenesse testa. Forse quelli che ha conosciuto e tenuto vicini tendevano a sminuirla e perfino a denigrarla, senza sapersi dimostrare più validi e forti. Ad Angelo Izzo, il violentatore, il criminale massacratore, Donatella potrebbe invece avere riconosciuto una qualche, per quanto mostruosa, capacità di dominio, un potere in grado di governare la confusione interiore di una donna fragile perché sola. Un potere che però lui, chiuso per sempre in prigione, non potrà mai usare effettivamente su di lei. Lei potrebbe così passare alla “storia”, si fa per dire, come l’unica donna che si è salvata dal mostro, perché la sola amata e risparmiata dalla morte. In fondo, che cosa c’è di nuovo? Moltissime donne credono che questo sia l’amore. Poi un giorno, dopo qualche tempo, vengono a piangere da me. In nome della legge.