In questo sistema di scambi culturali e sociali ultraglobalizzati, fino a rendere quasi imbarazzante il paradosso coi contestuali, peraltro opportuni, progetti politici federalisti, i matrimoni misti sono un fenomeno ormai in visibile crescita. E di conseguenza lo saranno i divorzi tra coppie miste. Di conseguenza, ancora, si moltiplicano i conflitti tra l’amministrazione dello Stato, la giustizia, le opinioni personali e politiche, garantiste per un verso o per l’altro, sull’interpretazione della legge. E’ evidente che, in questo obiettivo marasma e nell’incertezza dei diritti – purtroppo sempre più prevalenti sulla consapevolezza della reciprocità dei doveri – spetta agli avvocati puntare il pallino sul quale sperare di fare carambola delle varie interpretazioni. Avvocati, in altra più malevola metafora, definiti “girarrosti delle leggi che, a forza di girarle e rigirarle, riescono a cavarne un arrosto per sé”. Possibilità che, tuttavia, anche a volerci credere, non riesce quando il giudice, investito della questione, fa bene e rapidamente l’unica cosa che il ruolo e la funzione gli richiedono, cioè decidere con sapienza e competenza. E’ di qualche giorno fa la notizia dell’uomo italiano che, desideroso di sposare la pluriennale fidanzata marocchina, si è visto negare, dal Comune di un paesino in provincia di Bolzano, il nulla osta alle nozze. Questo, perché? La legge italiana prevede che, quando c’è in programma la celebrazione di un matrimonio, i nubendi devono ottenere l’autorizzazione alla pubblicazione dall’ufficiale dello stato civile cui viene fatta la richiesta. Se uno dei futuri sposi è di cittadinanza estera, prima di rilasciare l’autorizzazione, l’ufficiale deve ricevere il nulla osta dall’autorità diplomatica o consolare dello Stato coinvolto. Nel caso specifico, il consolato del Marocco l’aveva negato perché la futura sposa islamica si sarebbe così unita a un infedele, a un uomo cioè che non aveva abiurato alla propria religione per convertirsi al Corano. Questa norma sembra non valga tuttavia per i maschi mussulmani che, dunque, otterrebbero, comunque sia, il nulla osta anche se sposassero un’infedele. Ebbene, una questione analoga era già stata proposta al Tribunale di Monza due anni fa e risolta brillantemente, con la nota sapienza, dal Presidente Calabrò. Nel decreto (2528/08 Vol.) di risposta a un ricorso basato su presupposti simili, egli, con apprezzabile sillogismo, ha affermato i seguenti concetti: – per una cittadina estera di religione islamica vige il divieto della sua legge nazionale a ottenere un certificato utile a poter contrarre matrimonio con un italiano non islamico; – quest’ipotesi è palesemente contraria all’ordinamento italiano e ai suoi fondamentali principi costituzionali e di ordine pubblico (i diritti del cittadino come singolo e nelle formazioni sociali sono inviolabili; tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali); – la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico italiano (legge 218/95 art. 16); – dunque il giudice, applicando la legge e facendo valere i diritti costituzionali assoluti, deve ordinare all’ufficiale di stato civile di procedere alla pubblicazione del matrimonio. Naturalmente in Italia. Semplice, logico, risolutivo. Ma non tranquillizzante. Perché in Italia ognuno vuol dire la sua, indipendentemente dal fatto che altri abbia affrontato e risolto bene, nell’unico modo possibile, un qualsiasi problema. Considerata, dunque, la crescita esponenziale dei matrimoni misti e, come detto, anche degli inevitabili divorzi nel tempo, non sarebbe bene che si creassero degli automatismi o che avvocati e giudici si accordassero per tempo sui principi condivisi, per non affollare ancor di più le scrivanie di entrambi? Non solo si eviterebbe l’uso eccessivo del girarrosto, così eliminando fumi e bruciature, ma l’arrosto per gli avvocati sarebbe certamente più sano, se ottenuto con carne di qualità e sughi genuini, preparati da giudici esperti, con ricetta certificata dalla buona volontà di fare presto e bene. In nome della legge.