Il punto cruciale è che c’è scarsa, scarsissima, sensibilità, da parte delle istituzioni, per tutto ciò che riguarda le vicende familiari. Lo Stato è invasivo, al limite dell’insopportabile, quando si tratta di punire una famiglia (per esempio strappando il figlio a una famiglia conflittuale o non assentendo a un’adozione); è del tutto latitante quando, invece, dovrebbe impegnarsi a prevenire quelle che poi si rivelano autentiche tragedie. Nessuno può immaginare quante denunce connesse a rapporti familiari vengano trascurate, archiviate o rimesse. Magistrati e forze dell’ordine fanno, troppo spesso, i preti che mediano inutili e ipocriti accordi pseudopacificatori: dovrebbero invece onorare il loro ruolo, anche, cercando di capire che, la maggior parte delle volte, la vittima ritira la denuncia perché è ricattata dal violento o dal persecutore. L’ultimo pluriassassino, in ordine di tempo, aveva precedenti penali per minacce e danneggiamenti, era stato denunciato dalla vittima e da altre per una decina di volte. Chi, sapendo, ora si deve sentire corresponsabile dei suoi due sanguinari e mostruosi omicidi? Certamente, anche chi è pagato per prevenire, fermare, giudicare la violenza e non l’ha fatto. Per incuria, incapacità, cinica indifferenza. Eppure le leggi ci sono. Ma restano inapplicate. A Milano, in verità, c’è un efficiente “pool familiare” ben coordinato tra polizia e procura: il personale è stato appositamente formato a comprendere e gestire al meglio i patologici rapporti interfamiliari. Dunque, chi ne è investito, di volta in volta sa comprendere, soprattutto in caso di stalking, se c’è il rischio della ripetizione più grave del reato e, di conseguenza, agisce con la rapidità e la concretezza indispensabili in questi casi. Quasi sempre e con un po’ di stalking da parte dell’avvocato, però… Gli strumenti giuridici ci sono e, se non sono attivati dai legali esperti, vengono suggeriti alle vittime dai poliziotti e dagli agenti scrupolosi: chi è vittima di violenza può richiedere l’ammonimento del Questore al denunciato, ma anche misure protettive diversamente modulate, dal divieto di incontro e di contatti con luoghi e pertinenze della vittima, all’obbligo di dimora, fino agli arresti domiciliari. In via preventiva, però, senza aspettare la tragedia quasi sempre annunciata. Se la vittima è costretta a difendersi da sola, a modificare le proprie abitudini di vita, a vivere nell’ansia e nel terrore, il reato di stalking è già in atto e già provato: se chi deve agire non lo fa, è colpevole lui stesso; se non di stalking, quantomeno di omissione di atti d’ufficio. Intanto. Siamo circondati dalla violenza, soprattutto all’interno delle mura domestiche: molestie, maltrattamenti, crudeltà mentale, aggressioni morali, fisiche e specificamente sessuali, minacce, terrorismo psicologico, sadismo comportamentale. La vittima spesso non la riconosce, poi se ne vergogna, nel frattempo ne diventa dipendente o ha paura del persecutore. Si fa presto ad arrivare al crimine, quando l'”amore” è malinteso, delirante, ossessivo e non accetta la frustrazione del rifiuto e della fuga. Tanto per cominciare, smettiamola di giustificare gli assassini dicendo “a suo modo l’amava”. O si ama o non si ama; forse l’amore è solo un concetto teorico ed esistono, invece, fatti che provano l’amore. Un omicidio alla fine di una storia, lo nega fin dall’origine, limitandosi provare o la follia o l’insano e presuntuoso amore per sé stessi. In secondo luogo questi quotidiani orrori della cronaca devono poter servire almeno a imparare, crescere, capire, solo così potendosi prevenire la deflagrazione della violenza. Non c’è bisogno di studiare psicologia per capire se una persona si dimostra ossessiva, se agisce con sballati criteri comportamentali. Bisogna stare allarmati nei confronti di atteggiamenti altrui fuori dalle righe. Inoltre, bisogna imporsi di non accettare da nessuno, e tantomeno dal partner che si dichiara innamorato, menzogne, inganni, umiliazioni, alternanze ripetute di aggressioni e scuse, minacce anche velate, sopraffazioni aperte o subdole. Il seme della violenza può crescere strisciante nel silenzio ed esplodere rumorosissimo all’improvviso. Difficilmente è senza frutti velenosi o mortali. I migliori concimi della violenza sono l’avidità, l’ambizione, la rabbia, il rancore, l’invidia, la frustrazione del persecutore. Il peggiore antidoto alla violenza è la tolleranza ipocrita e perdonista della vittima. Accettare in silenzio la tortura del sopruso sistematico non è prova di generosità, e neppure di rispetto per gli eventuali figli o il proprio decoro sociale: non si deve soccombere a nessun ricatto, crudeltà, angheria, violenza. Ciò provoca assuefazione nella vittima e feroce progressione nelle vessazioni del carnefice. Fino alla morte, dell’anima o del corpo. Chi convive con la violenza, sia vittima o carnefice, può essere salvato solo dal sapere: acquisire informazioni sul come fermare questa patologia e agire di conseguenza prima di qualsiasi tragedia. Ma tutto ciò diventa mera chimera quando, chiedendo il primo gesto di aiuto a un pronto soccorso, un agente, un magistrato, si ha per risposta l’annoiata o distratta o lucida, ma sempre crudele, indifferenza. Che è la peggiore delle violenze.