Ma, oggi, a che cosa serve la coppia? Secondo la Chiesa per procreare. Secondo la psicologia, per offrire ai figli le due versioni dell’umanità quando la coppia è etero. Secondo la legge per adottare. Nel nostro codice non esistono norme che tutelano la coppia coniugale come tale (anzi, c’è il diritto al divorzio) benché sia stata ratificata la reciproca solidarietà economica e morale a parità di diritti e doveri. Invece la nostra normativa dà largo spazio ai diritti e ai doveri della coppia genitoriale. Per la Chiesa la coppia è indissolubile dal momento della celebrazione del matrimonio, che è soprattutto un sacramento. Una volta era praticamente doveroso sposarsi e fare figli, vuoi per la rispettabilità sociale, vuoi per tramandare il patrimonio accumulato, ma anche per avere braccia da lavoro e assistenza nella vecchiaia. Oggi ci sono coppie, anche non sposate, che non si uniscono per questi obiettivi, ma si affidano a un’ipotesi di felicità e, dunque, sono soggette alla variabile del sentimento. Sono, cioè, precarie. E’ il singolo individuo a mettersi sul piano più alto della gerarchia dei valori, ragion per cui non ci si sacrifica più per la coppia, la famiglia o la società. Spesso neppure per i figli. Nella cultura pluridiversificata che segna il nostro tempo, la coppia è dunque vista come sacra da chi è seriamente e profondamente religioso; temporanea da chi si consegna ai principi di diritto; fragile e fugace da chi segue il respiro dei sentimenti. Tra tutte queste coppie, ci sono poi quelle che sanno crescere i figli nella serenità e stabilità; altre che li rendono spettatori delle emozioni più negative; altre ancora che li nutrono del gelo affettivo, dell’incapacità, del disordine esistenziale. Per non parlare di quelle che se li dividono a ore e giorni come fossero fette di una torta. Dunque, che senso ha continuare a pretendere che una creatura, quasi senza passato e col futuro incertissimo, possa essere accolta solamente da una coppia, apparentemente solida, in una famiglia costituita? Tanto più che molte, moltissime coppie adottive si separano, proprio dopo l’adozione. Anche per loro vale, purtroppo, il principio che un bimbo può mettere in discussione, fino a frantumarle, le dinamiche più consolidate che garantiscono l’unione coniugale. Spesso la famiglia, senza nulla togliere a quelle ben riuscite, altro non è che uno scontro permanente dei rispettivi egoismi. Per di più non si può trascurare di notare che moltissimi sono i figli allevati con attenzione e competenza da famiglie monogenitoriali. Papà e mamme vedovi o separati malamente; ma anche papà e mamme che hanno fatto ricorso alla fecondazione più o meno assistita. Papà e mamme che non possono contare sull’altro genitore perché troppo lontano, malato o emotivamente assente. Siamo indietro di oltre quarant’anni dalla Convenzione di Strasburgo che, nel 1967, ha indicato le nuove linee guida in tema di adozione, auspicandola anche per i singoli; ancora una volta, pertanto, dobbiamo sentire i supremi giudici che criticano la sonnolenza del parlamento sul problema. Tuttavia, le nostre leggi sono così flessibili e aperte da consentire ai nostri giudici di fare giurisprudenza e, quindi, di applicarle al meritevole caso concreto. Anche mostrando sensibilità ai cambiamenti nel tempo. Per cui, parafrasando proprio la sentenza della Cassazione, mi vien da dire che “ben avrebbero fatto i giudici” a mettere in primo piano l’interesse del figlio – che, per legge, è superiore a qualsiasi altro – e a interpretare i dati di fatto e normativi in suo pieno favore. Senza aspettare di togliersi ogni responsabilità, rifacendosi a scritti generici futuri e, così, svalutando anche l’opera degli avvocati. Nel caso di specie, non è stata concessa l’adozione legittimante, cioè piena, bensì quella speciale che, per esempio, non estende ai parenti il diritto successorio a favore dei figli adottati. Secondo il Vaticano, peraltro, il bene dei bambini è avere un padre e una madre. E’ come dire che è meglio essere ricchi e sani, che poveri e malati. La legge, però, si deve occupare anche degli aspetti patologici della società: bambini abbandonati, orfani, maltrattati, abusati, devono continuare a vivere nella miseria affettiva ed esistenziale, in attesa della coppia perfetta? Di una coppia corrispondente allo stereotipo delle favole, e della Chiesa, che superi tutti gli esasperanti test di assistenti sociali, psicologi e giudici? Se dovesse essere così per ottenere l’autorizzazione al matrimonio e alla procreazione, la natalità sarebbe sotto lo zero, seguita a ruota dai matrimoni. Dato quindi per accertato che non tutti i matrimoni sono perfetti e non tutti i genitori sanno fare il loro dovere, perché non affidare un bimbo infelice o senza storia futura, a un singolo padre o a una singola madre, quando generosi e ricchi di buona volontà? Questo è l’interesse di un figlio senza famiglia. Nessuna persona al mondo ha la garanzia di ricevere solo felicità, né, tantomeno, di darla. C’è chi obietta che l’adozione risponde all’egoismo di chi vuole tutto anche se non è in grado. Non vale la stessa eccezione per la coppia che vuole autosponsorizzarsi come famiglia completa? C’è ancora chi pensa che, riconoscendo ai single la possibilità di adottare, si aprirebbe la strada gli orchi. Forse che non ce ne siano nelle famiglie “per bene”? In ogni caso si fa sempre e soltanto l’interesse dei figli sfortunati, quando si permette loro di essere adottati sia dalle coppie sia da un solo genitore. Purché il controllo preventivo sull’affidabilità delle persone sia serio e rapido. Non ci potrà mai essere garanzia di felicità per quel bimbo già nato infelice, ma gli saranno regalate moltissime insperate opportunità di vita e d’amore. Nel bene e nel male. In barba ai codini, ipocriti e malpensanti, convinti che esistano solo coppie felici e perbene.