«Amore e non dovere mai chiedere scusa», affermava la protagonista del film “Love story”, aprendo così un intenso dibattito tra i giovani degli anni ’70. I maschi sostenevano che il significato fosse quello di dovere accettare qualsiasi cosa dall’amato, poiché in amore la comprensione supera qualsiasi necessità di giustificazione. Le femmine spiegavano, invece, che, amando, non ci si mette mai in condizione di fare cose sgradite all’amato. Solo così non si dà dispiacere all’altro e non si crea l’occasione di scusarsi. Credo che anche oggi un sondaggio attesterebbe su pressoché identiche posizioni il genere maschile e quello femminile. Con qualche eccezione; tipo Bocchino. Che ha trascurato del tutto l’ipotesi di non dare, prima di farlo, un dolore all’amata, tradendola poi per lungo tempo; per di più, dopo averle fatto ingoiare l’amarissimo boccone, le ha chiesto scusa a mezzo stampa. In sintonia con quanto aveva già fatto la moglie tradita, col rilasciare a una rivista alcune dure dichiarazioni sul marito. Non solo: sembra che Bocchino abbia detto che, proprio leggendo la rivista, avrebbe capito l’enormità della sofferenza subita dalla moglie, a causa degli errori da lui commessi. A parte il fatto che non è da gentiluomini definire apertamente l’altra un «errore», anche la spiegazione sul perché delle scuse, inquieta un poco. Qualsiasi donna sarebbe, infatti, profondamente mortificata nell’intuire che il suo uomo ha avuto bisogno di leggere un giornale, per capire la grandezza del dolore infertole col tradimento. Non c’è una scienza rigorosa da studiare e da applicare, per sapere come fare felice chi amiamo – e infatti si va un po’ per tentativi -, ma certamente tutti sappiamo cosa fare per non fargli del male. Il tradimento è certo un male. Anzi, il male. Prima di farlo, durante e dopo. Se, poi, l’infelice malcapitata lo vive in diretta e decide di sopportarlo ogni giorno, in attesa della fine, il male si moltiplica all’ennesima potenza, permeandole l’anima di fumi velenosi che bloccano il respiro della vita. Non basta certo una scusa del tubo (catodico) a cancellare dai pensieri e dai ricordi della tradita ogni secondo passato, segnato da ansie, lacrime e menzogne. Certo, le scuse pubbliche costituiscono pur sempre una brezza leggera che si limita però a lenire il bruciore della ferita all’orgoglio, socialmente condivisa. È vero, anche, che è un dovere rispettato dalle persone bene educate il chiedere scusa quando si è commesso uno sbaglio. Uno sbaglio, però. E, in genere, quando si è in buona fede e si è autenticamente mortificati, perché non c’era la volontà di offendere o colpire l’altro. Tipo una gaffe, pestare un piede, dimenticare una data o una cosa. È già più strano, fare e accettare scuse dopo che si è trafitto più volte qualcuno e lo si sta sbudellando. Il tradimento e il senso di colpa “ex post”, danno appunto questa idea di anomalia e insensatezza alle dichiarazioni scusanti. Non è certo eroico il chiedere scusa in questi casi; è nobile e coraggioso, invece, l’accettarle. E ancor più valoroso il perdonare. Se non altro perché la storia insegna, e ancor più le statistiche, che, chi infligge una grave offesa come il tradimento – nella amicizia, in amore e sul lavoro -, è destinato a ripetersi con infinite variabili sul tema. Addirittura tradendo il valore e il motivo delle stesse scuse che avanza: come interpretare, altrimenti, la giustificazione che Bocchino dà, a se stesso, di essere stato vittima di un duro attacco politico che ha «fatto leva sui suoi affetti»? È più grave ciò che egli ha fatto alla moglie o il fatto che i nemici lo abbiano raccontato? Scuse bizzarre e pelose, quelle pubbliche, comunque sia, se è la vittima a porgerle a un’altra vittima.