Marinetti, nel suo manifesto del Futurismo, aveva detto, centodue anni fa,«Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità». È vero: niente è più lontano nel tempo. La velocità del suono, della luce, di internet, dei motori e delle idee, rendono oggi tutto immediatamente percepibile, godibile, raggiungibile. Questo non vale però nel territorio italiano della giustizia: sanzionare un reato o vedere riconosciuto un proprio diritto, ottenere un titolo esecutivo perché sia finalmente onorato il proprio credito, arrivare in sostanza alla fine di un processo giudiziario – e dei tre gradi di giudizio, più gli annessi e connessi procedimenti – vuol dire entrare in una dimensione fuori dal tempo corrente. Accettare e subire tempi biblici, non più compatibili con il pensieroe le azioni che definiscono con prontezza qualsiasi dinamica ed esigenza della nostra società. Il problema è ancora più sentito nel campo dei diritti della persona, e in particolare del diritto di famiglia. Per divorziare, in Italia, se c’è conflitto e considerata la fase indispensabile della separazione, possono servire anche quindici anni. Se c’è accordo tra le parti non meno di quattro:tre obbligatori per legge, uno almeno dalla richiesta alla sentenza di divorzio. Tuttavia siamo in Europa e possiamo godere del regolamento del Consiglio Europeo: secondo un’interpretazione accreditata da molti operatori del diritto, qualunque Tribunale dell’Unione può pronunciare una sentenza di divorzio tra cittadini europei, che risiedano da almeno sei mesi in quel Paese. Anche se non cittadini di quel Paese. Senza bisogno della preventiva separazionee facendo poi trascrivere la sentenza dall’ufficiale di stato civile del Paese d’origine. Gli Stati nei quali trascrivere i divorzi lampo, dovrebbero essere solo Italia, Malta, Irlanda del Nord e Polonia, gli unici Paesi europei che ancora prevedono la separazione prodromica al divorzio. Sembra che negli ultimi cinque anni almeno ottomila coniugi italiani abbiano scelto questo sistema di rapida conclusione del vincolo matrimoniale non più condiviso, superando così le elefantiache attese prescritte dalla legge e aggravate dal funzionamento flemmatico dei tribunali. È evidente che non tutti possono permettersi lo shopping del diritto, andandolo ad acquistare là dove c’è la possibilità di un servizio takeaway. Non solo perché bisogna essere già d’accordo entrambi; ma anche perché, oltre al costo del legale straniero (notoriamente meno imbrigliato dalle tariffe forensi di quello italiano), c’è anche da pagare casa e soggiorno per almeno sei mesi e da organizzare diversamente la vita in Italia. Molti hanno preferito prendere questa strada, invece di aspettare, nella migliore delle ipotesi i fatidici quattro anni. Ma quanti di loro avranno fatto le cose correttamente e quanti invece avranno imbrogliato entrambi gli Stati coinvolti, ricorrendo a opportuni escamotages per avere tutte le carte a posto? Se un cittadino italiano deve organizzare truffe per ottenere subito all’estero ciò che in Italia si propone come un’ipotesi incerta e a lungo termine, è ovvio che lo Stato italiano non possa non pensare seriamente e subito ad adeguare l’ordinamento giuridico(e giudiziario!) alle esigenze manifestate dalla società. C’èl’ostacolo, però, della matrice cattolica di molti parlamentari, a impedire la facile attuazione di quella che,secondo me,è la soluzione migliore: e cioè l’introduzione di una legge che offra la possibilità di scelta tra separazione e divorzio. In realtà l’ostacolo sarebbe superato dal fatto che ai cattolici convinti rimarrebbe pur sempre la possibilità di preferire ancora la separazione, utilizzandola come periodo di riflessione, per l’eventuale divorzio o la riconciliazione. Ma i laici, anche quelli non così abbienti da comprarsi una temporanea residenza straniera, vedrebbero almeno il loro diritto attuarsi in tempi ragionevoli. C’è da dire, a proposito di Stati esteri,che molti si rivolgono ai tribunali ecclesiastici (giurisdizione Città del Vaticano) perché, a volte, la nullità del matrimonio è più veloce da ottenersi che non il divorzio. E, dunque, se vogliamo ancora poter definire il nostro Paese la culla del diritto, senza che il diritto sia denutrito e maltrattato dai suoi stessi genitori, è necessario che i parlamentari italiani si alzino dalle loro sontuose poltroncine e vengano in trincea per vedere che cosa succede nel mondo dei divorzi: i giudici e gli avvocati italiani stanno perdendo credibilità a favore dei loro colleghi stranieri ed ecclesiastici; i coniugi, certamente desiderosi di regolamentare con celerità vite, patrimoni e figli, emigrano a tempo nelle città europee, se ricchi; se poveri, invece, pagano il fio dell’inefficienza statale, e a lungo pagano gli avvocati anche di più di quanto basterebbe. Quelli che hanno davvero molta fretta,preferiscono uccidere il coniuge. In Italia si conta ogni giorno un omicidio in famiglia. Sanno, gli assassini, per altro, di essere pienamente garantiti dalla lentezza ipertrofica della giustizia, dalla prescrizione, dagli sconti di pena. Sovente, per un omicidio, dopo nove anni si può ricominciare a vivere. Perché, forse pensano costoro, spendere denaro e aspettare quindici anni per un divorzio sudatissimo e incerto? Con buona pace dell’apprezzamento dell’entusiasmante velocità, da parte di Marinetti.