Gentile signora Nedda Gilè, il Sallusti ha chiesto ai collaboratori di trasmettere la Sua lettera «alla Bernardini de Pace» affinché Le rispondesse. Nessuno ha avuto esitazioni nell’identificarmi; né tanto meno qualcuno ha pensato di riferirsi a me come «la giornalista Bernardini de Pace» o «l’avvocato Bernardini de Pace» o, tanto meno, Annamaria Bernardini de Pace. In tutti e tre i casi avrebbero perso solo del tempo inutile, per arrivare al medesimo risultato: capirsi tra loro e informare me delle Sue pungenti e simpatiche doglianze. Io, peraltro, non mi sono sentita né offesa, né sminuita, né desiderosa di puntualizzare. Come a suo tempo invece ha fatto «il ministro Elsa Fornero» indignata di sentirsi appellare solamente «la Fornero». Io sono felice che nel mio studio i miei collaboratori mi chiamino, addirittura, con affettuosa riverenza, la Bdp. A Milano, del resto, dovremmo sentirci tutte umiliate e maltrattate, giacché è consuetudinario dire «chiama l’Annamaria», anziché «chiama Annamaria», come avviene certamente a Roma e forse a Torino. Tenderei a escludere che romani e torinesi siano più riguardosi dei milanesi verso le donne, sol perché, in linea di massima, evitano di anteporre l’articolo ai nomi propri o ai cognomi. Né i milanesi possono essere giudicati irrispettosi delle donne, dal momento che, per abitudine e senza alcuna discriminazione, enunciano «il Pietro» e «l’Ambrogio» o «il Brambilla». Ma raccontano pure delle ville «del Berlusconi» e non necessariamente «di Berlusconi». Non riesco dunque davvero a capire come un articolo preposto direttamente al cognome di una donna, senza la specificazione del nome o del ruolo ricoperto, possa essere percepito come sminuente della dignità o non confermativo dell’identità personale e professionale. Forse le rimostranze sono da inquadrarsi in una deriva femminista, che fa della presunta discriminazione di genere ancora una infruttuosa polemica. Per quanto divertente, come in questo caso. Se infatti i giornalisti, ma anche tutti i cittadini, usano celebrare «la» Fornero e non «il» Monti, il motivo è da ricercarsi più nella memoria etnica e dialettale di chi parla, cioè in una semplificazione eufonica, che non in un lessico volutamente screditante. D’altra parte la Duse, la Magnani, ma pure la Merkel o la Marcegaglia, mai si sono risentite di un articolo, solo oggi con questo sobrio governo, giudicato improprio e riduttivo. Forse perché loro stesse consapevoli che il Carducci, l’Alighieri, il Manzoni e l’Ariosto mai se ne dolsero; e nessuno di noi ha mai pensato di offenderli, in tal modo richiamandoli nella storia della letteratura. Anzi. Il definire chiunque con il solo cognome e un articolo, sta a provare che quella persona ha ottenuto il lasciapassare della storia o della cultura. Di ciò dovrebbe essere fiero, non essendosene mai lamentato, come invece la Fornero, per come è chiamato (Ignazio) La Russa. Quanti architetti o artisti di oggi, d’altra parte, vorrebbero essere definiti con un bell’articolo davanti al loro cognome, come si fa da sempre con il Brunelleschi o il Bernini? Certo, pronunciare «il Sallusti» per ora appare leggermente cacofonico; sarà tuttavia un gesto d’onore per lui, il citarlo in questo modo, quando avrà scritto tante odi appassionate come il Petrarca. Purtroppo alcune donne sono ancora tanto fresche di oneri e onori, per saper accogliere tutto ciò che le riguarda con disinvoltura e lievità: ci sono diffidenza, sospetto, un po’ di paura e un po’ di permalosità, che suggeriscono loro critiche e distinzioni non sempre opportune e a volte un po’ ridicole. Fa parte del gioco; e ogni donna è libera di segnalare come meglio crede la propria differenza o la propria uguaglianza nel confronto con l’uomo. Altrettanto liberi sono, però, i giornalisti di usare gli articoli per chi, quando e dove vogliono, senza tema di essere scorretti o attentatori della dignità di chicchessia Anzi. Avranno il consenso e la gratitudine delle donne festose, ironiche e coscienti del proprio valore, per nulla in competizione con i maschi: queste donne, infatti, apprezzeranno come omaggio quell’articolo «la» davanti al loro cognome. In pratica, un articolo da regalo alla femminilità. Una consonante e una vocale che forse possono salvarci dallo scomparire nel magma indifferenziato della deprimente uguaglianza a tutti i costi. Con ossequio, signora Gilè (per il Suo cognome, ha ragione lei: «la Gilè», sarebbe confusivo) la Bernardini de Pace.