Qualunque fosse stata la decisione del Tribunale, il danno era stato già fatto. Per difendere l’idea della legalità (contro l’ipotesi di reato di concussione) e per fare valere la dignità della donna (contro l’ipotesi di reato di induzione alla prostituzione) è stata apparecchiata e imbandita una tavola mediatica ricca di stoviglie raffazzonate e di cibi andati a male e persino velenosi. Il risultato è che ora i banchettanti, invitati o imbucatisi, hanno alcuni un fastidioso mal di pancia, altri sono in fase di lavanda gastrica e altri ancora hanno digerito a mala pena il boccone amaro. Eppure tutto era partito con i migliori auspici: se sol si osserva che protagoniste e cuoche del processo-party sono donne e se si richiama l’idea trendy che le donne, qualsiasi cosa facciano, sappiano condurla in porto meglio degli uomini. Donna è il magistrato Pubblico Ministero confezionatrice dell’accusa; donne sono i magistrati giudicanti; donne sono le presunte vittime dichiaratesi non tali; donna è il funzionario della Questura che ha negato di essere stata condizionata nella decisione. Gli uomini si riducono a essere l’imputato, in onore del quale è stato organizzato il party, e i due suoi custodi difensori. Un’interessante partita dunque di una cinquantina di donne da una parte e tre uomini dall’altra. ,Se fossero state rispettate tutte le regole, avremmo letto un menu comprensibile e avremmo potuto scegliere le pietanze con cognizione di causa. Avremmo potuto concordare sul piattino-concussione, se fossero stati usati ingredienti noti e non tirati fuori da una dispensa postuma. Avremmo persino potuto condividere che la torta-Arcore fosse un lupanare, se i componenti della ricetta non fossero stati scelti e mischiati a casaccio. E lievitati oltremodo. Come sempre accade, invece, tra le donne non c’è stata solidarietà. Si sa, peraltro, che l’amicizia tra donne altro non è che il complotto contro un’altra. Alcune di loro si sono in verità coalizzate nell’obiettivo di confezionare una gastronomia purgativa; altre hanno sgomitato fra loro abbattendosi a vicenda per offrire in esclusiva budini e pasticcini; rare quelle che hanno optato per una sana bistecca. Il risultato è stato di confusione, malessere, indigestione. Se l’obiettivo era difendere la dignità della donna, ovunque alberghi, in cucina, in camera da letto o al potere, c’è stato un massacro che ha ferito a morte le vere donne. Il lussuoso convivio improvvisato, si è trasformato in una bisboccia tra convitate. Intanto si è creata una nuova inaspettata identità, quella delle “olgettine”, che non esisteva, ma in funzione della quale si è precluso un futuro dignitoso a tutte coloro che, definite come tali, sono state usate da vittime a loro insaputa. Tutte le protagoniste hanno poi perso un sacco di tempo: anziché rimanere nei propri ruoli, hanno improvvisato un lungo e imbarazzante processo al diverso modo di essere donna. Addirittura proponendo ardite ricette di nouvelle cuisine sulla donna che, per essere apprezzabile, secondo le chef più accreditate, deve sapersi condire con cultura, virtù e modestia. Senza mai usare spezie. ,Chi si è trovata a dover giudicare, suo malgrado, ha dovuto infine attraversare una foresta intricata di capi d’imputazione, moralismi bigotti e accanimenti lessicali, riuscendo eroicamente e, sembra, senza difficoltà a individuare i radi cespugli di erbette-prove presunte. I tre uomini, attoniti e impassibili, di fronte a tante donne sull’orlo di una crisi di nervi, hanno, con educazione, doverosamente bevuto fino in fondo l’amaro calice, pur tentando di eccepire l’incomprensibilità di un simile simposio. Alla fine tutte queste, troppe, donne insieme ci hanno servito, direttamente dal pentolone, un minestrone nauseante e molto piccante, nel quale sono state mescolate matrone e gentildonne, erinni e donnicciole, virago e gallinelle, dame e donzelle, fate e streghe. Un minestrone abnorme e surreale, immangiabile perché disgustoso. Distribuito a noi cittadini inermi e incolpevoli, incapaci di digerirlo persino con tonnellate di Alka Seltzer. Forse aveva proprio ragione Dostoevskij: la donna, solo il diavolo sa cos’è!