di Avv. Rebecca Sinatra
“Personalmente vorrei evitare di continuare a versarle un assegno tutti i mesi. Preferirei, invece, darle una somma di denaro con la quale potrà mantenersi”
Caro Avvocato, mi chiamo Mario. Io e mia moglie ci siamo separati alcuni anni fa e, da quel momento, le verso un assegno di mantenimento di 1.000 euro al mese. Ora stiamo discutendo delle condizioni del nostro divorzio. Personalmente vorrei evitare di continuare a versarle un assegno tutti i mesi. Preferirei, invece, darle una somma di denaro con la quale potrà mantenersi in futuro (oggi mia moglie ha 55 anni). Posso farlo?
Quando marito e moglie decidono di divorziare, il coniuge economicamente “più forte” è tenuto a contribuire al mantenimento dell’altro “più debole”. Se quest’ultimo, chiaramente, non può proprio farcela da solo.
La corresponsione periodica (cioè tutti i mesi) dell’assegno divorzile è sicuramente la modalità più frequente. Tuttavia, la legge sul divorzio prevede l’alternativa della corresponsione dell’assegno di divorzio in un’unica soluzione. Quello che viene chiamato “assegno una tantum”.
In pratica, il coniuge economicamente più forte, invece di versare all’altro, tutti i mesi, un importo specifico, può corrispondergli, fin da subito, una certa somma, o un certo immobile, che sostanzialmente anticipa il futuro mantenimento del coniuge.
Questa modalità di pagamento dell’assegno è rimessa, esclusivamente, all’accordo tra i coniugi. Sono loro, infatti, a decidere sia la tipologia di pagamento, sia l’importo. Il giudice non può imporre l’assegno una tantum. L’unica cosa che può fare, quando moglie e marito non trovano l’accordo sulle condizioni economiche, è fissare esclusivamente un assegno divorzile mensile.
Qual è, allora, il “potere” del Tribunale in questi casi? Il Tribunale si limita a verificare se l’entità dell’assegno una tantum stabilita dalle parti sia equa. Fondamentalmente svolge una funzione di controllo. È il giudice che ha sempre “l’ultima parola”.
Come fare, quindi, a scegliere tra le due diverse modalità? La principale differenza tra l’assegno periodico e l’assegno una tantum è che, il primo, a differenza del secondo, può essere rivisto e modificato nell’importo in qualsiasi momento, anche dopo molti anni. È legittimo, pertanto, chiedere la diminuzione o l’aumento quando mutano le condizioni economiche di uno dei coniugi. Al contrario, il principale effetto dell’assegno una tantum è quello di definire, una volta per tutte, i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi. Se peggiorano le condizioni economiche di chi l’ha ricevuto, questi non potrà invocare un’integrazione, e viceversa.
Ma non solo. Anche la disciplina fiscale è diversa. Mentre l’assegno di mantenimento periodico, ai fini IRPEF, è deducibile dal reddito complessivo di chi lo versa, ma è tassato per chi lo riceve; l’assegno una tantum non è deducibile per il coniuge che lo versa e non è tassato per il coniuge beneficiario.
Quando può essere concordato l’assegno una tantum? Solo al divorzio, mi raccomando. Altrimenti non produce il suo effetto principale e c’è il rischio che chi lo abbia ricevuto in sede di separazione chieda, poi, al divorzio un nuovo assegno mensile.
Come fare, quindi, a scegliere tra le due diverse modalità? La principale differenza tra l’assegno periodico e l’assegno una tantum è che, il primo, a differenza del secondo, può essere rivisto e modificato nell’importo in qualsiasi momento, anche dopo molti anni. È legittimo, pertanto, chiedere la diminuzione o l’aumento quando mutano le condizioni economiche di uno dei coniugi. Al contrario, il principale effetto dell’assegno una tantum è quello di definire, una volta per tutte, i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi. Se peggiorano le condizioni economiche di chi l’ha ricevuto, questi non potrà invocare un’integrazione, e viceversa.
Ma non solo. Anche la disciplina fiscale è diversa. Mentre l’assegno di mantenimento periodico, ai fini IRPEF, è deducibile dal reddito complessivo di chi lo versa, ma è tassato per chi lo riceve; l’assegno una tantum non è deducibile per il coniuge che lo versa e non è tassato per il coniuge beneficiario.
Quando può essere concordato l’assegno una tantum? Solo al divorzio, mi raccomando. Altrimenti non produce il suo effetto principale e c’è il rischio che chi lo abbia ricevuto in sede di separazione chieda, poi, al divorzio un nuovo assegno mensile.
Come si determina? Diciamo che la legge, ancora oggi, non fornisce alcun criterio specifico per calcolare l’una tantum. Prevede solo che debba essere “equa”. Nella prassi, la metodologia di calcolo che viene utilizzata più frequentemente, è quella di moltiplicare l’assegno mensile percepito in fase separativa (al netto delle imposte) per un numero di anni mediamente corrispondenti all’aspettativa di vita residua del soggetto che la percepisce. Nel caso specifico, quindi, considerato che Lei, Mario, versa a Sua moglie 12.000 euro annui (che corrispondono a circa 9.200 euro netti) e che Sua moglie ha un’aspettativa di vita di circa ancora trent’anni, moltiplicando 9.200 euro per i prossimi trent’anni, la somma una tantum “corretta” si aggira intorno ai 277.000 euro. Somma che potrà essere corrisposta a sua moglie con diverse modalità: può versare immediatamente l’intero importo, oppure, può attribuirle beni mobili o immobili del valore corrispondente. Tra l’altro, nell’ipotesi di trasferimento immobiliare, non sarà soggetto all’imposizione fiscale generalmente applicata alle compravendite.
Si può usare questa modalità anche per i figli? La legge non prevede l’assegno di mantenimento una tantum per i figli. Pertanto, anche se il genitore trasferisce la proprietà di un immobile al figlio, questa dazione non potrà sostituire l’assegno periodico, salvo casi eccezionali sottoposti, sempre e comunque, al controllo del Tribunale. Uno di questi, per esempio, è quando l’immobile viene “messo a reddito”, così da permettere al figlio di recuperare il denaro indispensabile per il suo sostentamento.
Il vantaggio dell’attribuzione una tantum, pertanto, è innegabile. E non solo per chi la versa, ma anche per chi la riceve. Il primo, estingue immediatamente l’obbligo di assistenza verso l’altro ed esclude, per sempre, il rischio di revisioni future. Il secondo, invece, ottenendo in anticipo la somma (o l’immobile), non rischia di ritrovarsi in futuro senza alcun aiuto e, soprattutto, potrà anche risposarsi senza perdere il diritto all’assegno divorzile.
Questo tipo di corresponsione, quindi, possiamo dire che abbia un effetto “tombale”.
*Studio legale Bernardini De Pace