di Avv. Rebecca Sinatra
Caro Avvocato. Pochi giorni fa, il giudice della separazione ha stabilito che mio marito, d’ora in avanti, dovrà versarmi 2.000 euro al mese: 1.000 per il mio personale mantenimento e 1.000 per quello di mio figlio di 11 anni. Considerato che io non lavoro e che questi soldi saranno appena sufficienti a “coprire” le esigenze primarie (vitto, utenze, vestiario), ho bisogno di sapere se vengono tassati dallo Stato. In tal caso, infatti, non potrei proprio farcela.
Innanzitutto, gentile Signora, bisogna fare una distinzione tra gli importi che Suo marito verserà per il Suo mantenimento e quelli che, invece, corrisponderà per il mantenimento di Suo figlio. La disciplina fiscale, infatti, è completamente diversa. Partiamo da quella dell’assegno di mantenimento che il coniuge economicamente più debole riceve da quello economicamente più forte. Punto primo: i soldi versati o ricevuti per il mantenimento devono essere dichiarati all’Agenzia delle Entrate. Sia il coniuge che paga l’assegno, sia il coniuge che lo riceve, deve inserire l’importo esatto nella dichiarazione dei redditi. Punto secondo: l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione (così come l’assegno divorzile) è considerato reddito per chi lo riceve e un costo per chi lo eroga.
Che cosa significa questo. Significa che, per il beneficiario, gli importi ricevuti per il proprio mantenimento “fanno reddito”. Vengono quindi tassati come se fossero reddito derivante da lavoro dipendente. Al contrario, il coniuge che versa l’assegno può dedurlo dalle tasse. Quindi, nel caso di specie, Lei Signora, sui 1.000 euro che Suo marito Le versa deve pagare le tasse. Suo marito, invece, se (ipotizzo) guadagna 3.000 euro al mese e ne versa a Lei 1.000, paga l’IRPEF solo su 2.000 e non su 3.000. Deduce, pertanto, dal proprio reddito complessivo quanto a Lei corrisposto a titolo di mantenimento. Diversamente accade quando, in sede di divorzio, il coniuge più forte decide di versare l’assegno all’altro in un’unica soluzione (la c.d. una tantum). In questo caso, infatti, considerato che tale dazione non ha natura reddituale, non è possibile usufruire delle deduzioni fiscali. Non è quindi prevista alcuna tassazione né per chi la riceve, né per chi la eroga. Non importa, poi, se la somma stabilita viene versata in un’unica soluzione, oppure mediante rateizzazione. La rateizzazione viene semplicemente considerata una modalità diversa di versamento dell’una tantum, che non va a confutare la sua natura. Per le somme versate per il mantenimento dei figli, invece, valgono le seguenti regole: il genitore che le riceve non deve indicarle nella propria dichiarazione dei redditi. Quelle somme sono pertanto da considerare “nette”. Il genitore che, invece, le corrisponde non può dedurle dal proprio reddito.
Pertanto, Signora, i 1.000 euro che Suo marito Le versa per Suo figlio sono “netti”; per Suo marito, invece, non sono deducibili dal reddito complessivo ai fini del calcolo dell’IRPEF. Chiaramente, tutte queste regole valgono indipendentemente dal fatto che il pagamento degli assegni sia stato deciso a seguito di separazione o divorzio, oppure a seguito di un provvedimento del giudice o di un accordo tra le parti omologato poi dal Tribunale. L’unico caso nel quale i versamenti periodici degli assegni non hanno valore fiscale, è quello della separazione solo “di fatto”. È importantissimo, quindi, non sottovalutare questi aspetti. Sia durante la fase di trattativa della separazione o del divorzio, sia durante la causa innanzi al Tribunale. Il rischio è di ritrovarsi, poi, con importi nettamente diversi da quelli previsti o concordati.