di Avv. Valentina Eramo
La pandemia ha messo in evidenza quanto importante sia la tecnologia. L’analfabeta digitale non ha avuto vita facile durante il lockdown perché è rimasto vittima di un doppio isolamento: quello fisico, imposto dalle istituzioni che hanno chiesto, a viva voce, a tutti i cittadini di rispettare la regola ferrea del “distanziamento” sociale e quello digitale, conseguenza naturale della sua inesperienza o, rectius, insipienza in ambito informatico.
È recentissima – 16 luglio 2020 – la modifica apportata dalla Legge n. 76 al CAD, e cioè al Codice dell’Amministrazione Digitale (introdotto nel nostro ordinamento dal D. Lgs. n. 82 del 7 marzo 2005), testo normativo che ha avuto il merito di richiamare l’attenzione sull’importanza del processo di alfabetizzazione informatica nell’ambito della Pubblica Amministrazione. Se la conoscenza delle tecnologie digitali e la correlativa dimestichezza nell’uso sono fonte di inclusione ed emancipazione, l’ignoranza informatica è fonte di esclusione e discriminazione. Ma questa considerazione è valida anche per i servizi privati erogati dagli esercizi commerciali, dalle scuole paritarie, dalle aggregazioni sociali, qualunque sia la forma scelta.
Investire energie, concentrazione e tempo nello studio della tecnologia e nella esercitazione all’utilizzo dei presidi informatici è una scelta intelligente perché l’abilità tecnica e la capacità di padroneggiare il computer, il tablet e l’IPhone possono migliorare la qualità di vita dei cittadini o, certamente, semplificarla. Chi, per esempio, ha deciso di visitare il Cenacolo può percorrere, a sua scelta, due strade: la prima è quella “tradizionale”, rappresentata dall’accesso, in prima persona, alla biglietteria della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano dove può acquistare il biglietto cartaceo e informarsi sugli orari della visita; la seconda è quella “moderna”, rappresentata dalla prenotazione on line; se poi l’aspirante visitatore interroga il sito ufficiale del museo (www.cenacolovinciano.org) può anche scegliere – con un semplice click – l’orario e il giorno della visita, semmai in forma guidata. L’estimatore di Leonardo da Vinci non impiegherà molto tempo a capire che la via maestra (l’accesso fisico alla biglietteria) è molto più defatigante di quella virtuale (la prenotazione on line) perché la pandemia vieta la calca e l’assembramento tipici delle fila di persone in coda per accedere al servizio richiesto. Nel sito del museo è scritto a chiare lettere: “per tutelare la salute di tutti – visitatori e personale – le modalità di acquisto dei biglietti hanno subito alcune variazioni: l’accesso alla biglietteria è consentito a una sola persona alla volta”.
Riepilogando. L’accesso a Internet migliora e semplifica la qualità della vita di tutti i giorni e rappresenta, nella maggior parte dei casi, il frutto di una libera scelta del cittadino che può decidere di servirsi di un servizio – pubblico o privato – in forma digitale o meno. Per esempio, chiunque oggi può dotarsi, in forza del sopracitato CAD, della PEC, e cioè della posta elettronica certificata: mentre per il cittadino comune questo servizio digitale è una mera facoltà, rappresenta un obbligo per determinate categorie professionali tra le quali rientrano gli avvocati.
La pandemia ha accelerato l’apprendimento del linguaggio dell’informatica e la nascita della comunità digitale perché lo “smart work”, e cioè il lavoro “da remoto” svolto a casa in modo “agile”, ha rappresentato, in molti casi, il metodo migliore – se non l’unico – per lavorare. Se è possibile rinunciare alla visita del Cenacolo vinciano, non è possibile fare a meno di lavorare o di frequentare la scuola: il diritto al lavoro e il diritto all’istruzione hanno entrambi rango costituzionale perché sono codificati dalla nostra Carta fondamentale, rispettivamente agli articoli 1 e 34.
In questa prospettiva è pienamente condivisibile la decisione dei giudici di Pace di Trieste, Reggio Emilia e Pisa che hanno condannato la società dei servizi Internet a risarcire il danno procurato agli utenti dal “digital divide”, e cioè dall’impossibilità, protratta nel tempo, di accedere alla Rete. O, in termini più appropriati, di “connettersi” a Internet e usufruire dei servizi informatici. Il “diritto alla connettività Internet” – hanno sentenziato i giudici – obbliga la società di “servizi” informatici a risarcire il danno derivante all’utente dai “disservizi” informatici. Privare il lavoratore o lo studente della possibilità di “essere connessi” è fonte di danno ingiusto che può avere:
natura “patrimoniale” perché lede il patrimonio del contraente (si pensi all’architetto che non ha potuto inviare al committente, nei tempi concordati, il progetto per la ristrutturazione dell’immobile o all’avvocato che non ha potuto depositare, entro i termini perentori stabiliti dalla legge, la memoria istruttoria);
natura “non patrimoniale” perché lede l’esistenza del contraente (si pensi a chi, durante la pandemia, è stato privato dell’opportunità di seguire le lezioni scolastiche o, semplicemente, delle relazioni personali e familiari, con grave compromissione dell’equilibrio psico-fisico, quest’ultimo già messo a dura prova dall’obbligo di non uscire da casa e limitare i rapporti interpersonali ai casi di stretta necessità).
L’inadempimento contrattuale ha quale conseguenza – certa – l’obbligo, da parte del contraente inadempiente, di risarcire il danno – per equivalente o in forma specifica – derivante dall’aver privato l’altro contraente, al contrario adempiente, della prestazione pattuita. L’articolo 1218 del codice civile stabilisce che: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Il danno da “digital divide” è solo eventuale e si somma a quello dovuto all’ inadempimento contrattuale nella misura in cui l’utente sia in grado di provarlo: nel corso del relativo giudizio dovrà essere dimostrata, per testimoni o documentalmente o altrimenti, l’importanza che ha rivestito nella vita, professionale o personale, del contraente l’accesso a Internet. Non ogni violazione del diritto alla connessione Internet, dunque, integra “danno risarcibile”, ai sensi e agli effetti dell’articolo 2043 del codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.