Di Annamaria Bernardini de Pace
In questo confinamento forzato dalla pandemia, sono sempre chiusa nella mia casa. Dunque, dopo avere esaurito le video-riunioni con i clienti e i collaboratori, dopo avere contato le videochiamate con gli amici, e quando finalmente ho finito di scrivere o correggere ricorsi e memorie, ho preso l’abitudine di vedere la televisione.
Mi è, così, capitato di rendermi conto che ci sono una serie di programmi, durante tutto il giorno, nei quali si dibatte di qualsiasi argomento. Sentimentale, politico, di costume, di cronaca nera, a volte di scoperte scientifiche; mai di musica, di arte, o di cultura specifica. Per questo bisogna andare a individuare i canali dedicati e certamente non la televisione generalista. Ebbene, che cosa ho notato?
C’è una compagnia di giro che sembra quasi trascorrere le giornate tra Rai e Mediaset e che si considera praticamente esperta di qualsiasi cosa. La compagnia è formata da: ex mogli, ex vedove, ex vallette, giornalisti e giornaliste in pensione, psicologhe autoreferenziali, attrici attempate, attori dimenticati, etc.
Non conosco il percorso d’istruzione di nessuna di queste persone, ma quello che mi sconcerta è la convinzione che tutti hanno di esprimere, su qualsiasi argomento, la tesi determinante e prevalente sulle altre. Ormai hanno un linguaggio che li fa credere tutti laureati in medicina, in giurisprudenza, in psicologia, in economia e in criminologia. Hanno sempre la certezza che l’amore di quella coppia non è amore, che la tesi difensiva di quell’indagato è pura strategia, che la situazione politica è assolutamente momentanea (per altri, irriducibile), che quel personaggio o quella persona mentono spudoratamente. Ovviamente, dibattono tra loro proponendo la tesi contraria a quella appena espressa dal collega di opinioni. Purché la tesi abbia un contenuto moralista, populista o buonista. E purché accenda la miccia della discussione.
Mi sono trovata in qualche situazione del genere, collegata da casa. E sono stata trattata malissimo dalla compagnia di giro. Interrotta come fossi inutile, guardata con sufficienza.
Qualsiasi cosa io dicessi, esclusivamente di contenuto giuridico, provocava risolini, insofferenza o aggressività da parte di attricette dimenticate, giornalisti dormienti, psicologhe senza storia.
Credo di poter dire qualcosa in tema di diritto e di processi, non solo perché mi sono laureata, ma anche per l’esperienza di quarant’anni. Ovviamente, di questo, nessuno ha tenuto conto e sono stata aggredita con frasi del tipo “lei che ha sempre difeso le donne, come può non difendere una vittima di stupro”. Chiarisco, che avevo specificato come la situazione, nella specie il dramma di “terrazza sentimento”, fosse ancora oggetto d’indagine in corso, estremamente complessa, contaminata dalla droga e comunque non ancora esaminata nel dibattito processuale, che prevede non solo l’esposizione articolata dei fatti, non solo le prove, ma anche il contraddittorio tra accusa e difesa. Nessuno avrebbe potuto dire niente di più ovvio di quello che avevo detto io, ma sono apparsa a tutti come il difensore del presunto stupratore e l’accusatore delle presunte vittime. Perché non mi ergevo, come gli ex di tutti ma opinionisti attuali, a giudice della condanna.
Questo processo, come tanti altri nel passato, grazie a questi personaggi, si è già celebrato in tv, contaminato, e l’opinione pubblica non ha dubbi su quello che sia avvenuto, non solo quella volta ma sempre, in quella famosa terrazza. Cioè stupri a danno di ragazzine, che non si possono ritenere responsabili della scelta di drogarsi perché malate. Ma anche il presunto stupratore era drogato. Super drogato. Allora? Era un’orgia da ospedale psichiatrico? Chi era lucido e chi no? Premesso che a me fa schifo la droga, fa altrettanto schifo il sesso perverso, e mi fa schifo condannare chiunque prima che nel processo siano stati rispettati tutti i principi costituzionali, e, soprattutto, il colpevole sia condannato dai magistrati e non da me o dalla compagnia di giro, devo dire con raccapriccio di essere ancora, a distanza di due o tre settimane, oggetto non solo di frizzi e lazzi, ma anche di insulti e osservazioni spregevoli sui social e sulle mie email. E’ vero che queste orrende reazioni provocate dai saccenti e incompetenti, che vengono pagati per esprimere la loro miserrima opinione (io non ho mai chiesto neppure un euro, perché penso che informare sia uno dei doveri della mia professione) fanno media con altrettanti scritti di approvazione, che mi vengono da persone non contaminate da idee presuntuose e prezzolate. E dunque mi chiedo: che senso hanno gli opinionisti non preparati sull’argomento, ma portatori di frustrazioni e presunzioni personali, nonché di idee raccogliticce? Pagati per dissertare mezz’ora, come un operaio assunto a tempo pieno.
Perché questi bravissimi conduttori non si rivolgono a psicologi accreditati, criminologi, avvocati, magistrati, che – gratis – aiuterebbero a capire, che insegnerebbero tante cose e che non farebbero buttare soldi inutili alle aziende? Forse perché si dice che il trash premia e, quindi, la rissa tra gli incompetenti assoluti e il competente, anche se relativo, fa share? Il dialogo spazzatura è giusto che sia ricompensato? E che dire dei conduttori travolti dall’insolito destino di arbitri della rissa?
Ma allora chiediamoci se tutte le lamentele, che tutti esprimiamo sul degrado della società e della cultura, non siano inutili, quando nessuno fa niente per intervenire a porre, quanto meno, un freno a questo scempio delle idee?
Dobbiamo crescere i nostri figli e i nostri nipoti nel moralismo d’accatto e nel populismo meno che mediocre?