Di Annamaria Bernardini de Pace
La Corte d’Appello di Brescia ha assolto in secondo grado un marito, che ha ucciso la moglie con mattarello e coltello e che si è immediatamente costituito, dichiarandosi colpevole dell’omicidio. Già l’assoluzione in primo grado aveva provocato molte discussioni, ma l’assoluzione in secondo grado le ha moltiplicate.
Considerato che le sentenze vengono emesse nel nome del popolo italiano, mi sento libera di valutarne il contenuto, giacché credo anch’io di appartenere, a buon diritto, al popolo italiano. Prima di tutto, per chi vuole fare sondaggi e sostenere argomentazioni di genere, come spesso succede nei delitti che vedono vittima una donna, preciso che i giudici che hanno deciso la questione sono 5 donne e 3 uomini. Preciso, altresì, che in una sentenza, emessa, appunto, in nome del popolo italiano, si deve leggere, per ben due volte, “per poi sferrare plurime accoltellate all’altezza del collo”. Accoltellate? In quale dizionario italiano? Sono profondamente convinta che la precisione dei magistrati nel rinviare a giudizio e poi nel giudicare non possa non coinvolgere anche l’uso della lingua italiana; indispensabile per spiegare sia il perché dell’imputazione sia il pensiero e le decisioni dei Giudici, nonché il perché della vita e della morte delle persone.
Il capo d’imputazione descrive che l’omicida “cagionava la morte della moglie colpendola ripetutamente al capo, agli arti superiori e alla coscia sinistra con un mattarello per poi infierire … utilizzando un coltello da cucina … accoltellandola alla giugulare … plurime accoltellate all’altezza del collo … con l’aggravante ai danni della moglie … con crudeltà … abusando di relazioni domestiche … con l’aggravante della premeditazione in quanto premeditava il proposito delittuoso 4-5 giorni prima a causa della forte gelosia”. Richiesta la pena dell’ergastolo, la sentenza d’Appello conclude, invece, per l’assoluzione “in quanto il medesimo, al momento del fatto non era imputabile per vizio totale di mente”. Verdetto assolutorio, peraltro, preceduto dalla giustificazione che è inutile la condanna: avendo la pena una funzione rieducativa, laddove l’imputato non sia stato in grado di capire il perché del proprio comportamento, a che cosa potrebbe mai servire rieducarlo? Secondo la Corte, cioè, questo signore era educato, ma ha massacrato la moglie senza rendersene conto né sapere il perché. Quindi va assolto. Con la specificazione, peraltro, della Corte, che non bisogna cadere in “cortocircuiti semantici”, tenuto conto che la parola assoluzione è intrisa di una “venatura etica” e può evocare un’ “inclinazione al perdono”.
Forse sarebbe stato meglio abbandonare queste considerazioni etiche, estetiche, filosofiche, e comunque teatrali, per uscire, invece, con maggiori certezze e persuasione dall’alternativa che il Collegio giudicante si è posto tra gelosia delirante e gelosia passionale. Secondo i Giudicanti, nel primo caso non c’è capacità d’intendere e di volere, mentre c’è nel secondo. Nel primo caso si tratterebbe di una psicosi di contenuto clinico, nel secondo caso di un’ossessione passionale. Sempre secondo i giudici, appare opportuno non confondere il femminicidio con l’uxoricidio, che non sono termini “equivalenti e fungibili”, in quanto “il primo contrassegna la mera uccisione di una donna”, mentre il secondo si riferisce all’uccisione di una donna in quanto tale”. A parte che non mi riesce di capire bene la differenza tra essere donna e essere donna in quanto tale, la domanda che mi viene impellente è: ma un marito è geloso della moglie in quanto donna, in quanto tale o in quanto moglie? E se la uccide in un delirio psicotico di gelosia, la vede come donna o come non la vede?
Devo dire che, forse, ci dobbiamo soffermare tutti a riflettere su uno stralcio della requisitoria del Procuratore Generale, che viene criticato dal Collegio giudicante: “non ho capito, a questo punto, qualsiasi uomo che ha una forma di gelosia verso la propria moglie, può essere giustificato?”
Ecco, c’è da sperare che il Procuratore Generale impugni la sentenza in Cassazione, grado nel quale, però, non si potrà discutere del merito della questione, ma di come è stata condotta l’istruttoria, come è stata valutata la prova, qual è stato il percorso logico affrontato dai giudici.
E’ possibile, quindi, pensare, tutti noi che, a nostra insaputa, abbiamo deciso di assolvere un assassino geloso, ma delirante, in nome del popolo italiano, che la Cassazione possa avere qualche osservazione giuridicamente interessante da esprimere sull’attendibilità clinica delle considerazioni riportate nella sentenza; ma anche e soprattutto sulla validità del sontuoso e versatile percorso valutativo, che il Collegio ha affrontato per decidere se un reo confesso, con le mani ancora intrise del sangue della moglie massacrata, andava condannato o no.