L’ultima impostazione della Cassazione sta trovando declinazione concreta nelle sentenze dei Tribunali.,I principi della sentenza 18287/18, con la quale, in materia di assegno divorzile, le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno corretto il tiro rispetto alla storica pronuncia 11504/17, hanno già trovato applicazione in due recenti sentenze, rispettivamente emesse dal Tribunale di Pescara e da quello di Perugia. La Suprema Corte, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, ha infatti precisato che l’assegno di divorzio ha una funzione non solo assistenziale (come affermato nel 2017), ma anche compensativa e perequativa.,È appurato che, ai fini del riconoscimento dell’assegno, non rileva più il tenore di vita goduto durante le nozze, ma contano l’indipendenza e l’autosufficienza economica del coniuge. Tuttavia, attraverso la pronuncia n. 18287, la Cassazione ha precisato che sono necessarie ulteriori considerazioni: il contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, le potenzialità reddituali future e l’età dell’avente diritto.,I principi che hanno attenuato lo storico revirement della Suprema Corte hanno trovato una delle prime applicazione nella sentenza 1248/18, pubblicata il 29 agosto dalla sezione civile del Tribunale di Pescara. È stato infatti riconosciuto il diritto della ex a percepire l’assegno divorzile, nella misura massima di un terzo del reddito mensile del coniuge. A sessant’anni, la moglie che ha rinunciato a un’occupazione e ha seguito il marito in tutte le sedi di lavoro, supportandolo nella relativa crescita professionale, non potrebbe trovare un impiego perché priva di professionalità e di lavoro.,Nella stessa prospettiva si è inserita la sentenza 1089, pubblicata il 17 ottobre scorso dalla sezione civile del Tribunale di Perugia. Anche in questo caso: via libera all’assegno divorzile chiesto dalla ex, nonostante la signora abbia notevoli doti culturali, intellettuali e professionali. Secondo il giudice di merito, il fatto che la parte si sia dedicata alle attività casalinghe di supporto alla crescita e all’educazione dei figli, sacrificando le proprie aspettative professionali, giustifica la permanenza di un vincolo di solidarietà economico-patrimoniale fra ex coniugi. L’assenza dal mondo del lavoro per oltre un decennio rende infatti difficoltosa, per la donna di sessant’anni, la ricerca di un’occupazione stabile, soprattutto considerando le condizioni del mercato lavorativo italiano odierno.,In entrambi i casi, il giudice ha constatato, in linea con l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, che l’impegno profuso dalla moglie nel ménage familiare è frutto di una decisione assunta di comune accordo tra i coniugi ed è la causa della loro disparità economica dopo la fine dell’unione.,Si tratta di correttivi al principio dell’esclusiva funzione assistenziale dell’assegno, stabilita dalla Cassazione nel 2017: l’obiettivo è, in questo caso, quello di tutelare non il raggiungimento dell’indipendenza economica della parte “debole”, ma il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi.,Certo non mancano i casi di applicazione più rigorosa del principio di autosufficienza economica. Il Tribunale di Trieste, con la sentenza 52/18, ha infatti negato l’assegno alla ex che lavora part time: tale scelta è stata adottata non dall’interessata per dedicarsi soprattutto alla famiglia, ma dal suo datore di lavoro per esigenze aziendali. In questo caso la disparità patrimoniale tra i coniugi non è quindi conseguenza di una scelta comune. A ciò si aggiunge, inoltre, che la signora è già strutturata nel mondo del lavoro, e, considerata anche l’età, ha modo di trovare un posto più adeguato.,Emerge, in sostanza, un quadro variegato, nel quale è però possibile trovare una costante: la capacità del giudice di merito di adattare le pronunce della Cassazione ai singoli casi. ,Il principio della autoresponsabilità, che ha scalzato quello del “tenore di vita”, trova quindi deroghe alla sua applicazione, le quali, come dimostrano i casi esaminati, dipendono soprattutto dall’età e dalle doti professionali del coniuge richiedente l’assegno divorzile.