Lei avrebbe un amante. Lui sostiene che lei è stata ossessivamente insidiata dall’altro al punto di cedergli e disgregare così la vita familiare. Provocando, di conseguenza, la depressione del marito e il grave disagio dei due piccoli figli. Il marito, allora, cita in giudizio il presunto amante e gli chiede il risarcimento di 600 mila euro per i danni morali cagionati a lui stesso e ai bambini. La causa è iniziata ieri a Spoleto e, prima della sentenza, passerà certo un po’ di tempo, giacché la causa civile richiede in genere un’articolata istruttoria, comprendente testimonianze, perizie mediche e psicologiche, valutazione delle prove e diversi atti scritti difensivi. Che dire? Il problema posto è tecnico e complesso. Intanto, non si dovrebbero definire i danni come “morali”, ma, se mai, “non patrimoniali”. Fino a poco tempo fa erano considerati risarcibili, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, solo i danni morali procurati da un reato. Quando l’adulterio era reato, il fedifrago e il suo complice potevano anche rispondere dei danni morali provocati al tradito. Oggi, però, sono risarcibili i danni non patrimoniali conseguenti alla lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti, tali da alterare la personalità della vittima, per esempio nella sua identità personale o nella libertà di vivere in un certo modo. Dunque, il danneggiato deve, tramite concreti e circostanziati fatti, poter dimostrare che il comportamento di un altro, in questo caso il presunto amante, ha leso precisi suoi diritti assoluti, protetti dalla costituzione, in modo tale da provocargli danni che condizionano negativamente la sua esistenza. Mi sembra di capire che, secondo il marito, proprio i comportamenti attivi, anzi addirittura ossessivi, del presunto amante, hanno indotto all’infedeltà la moglie, con la conseguenza della distruzione della famiglia. Dunque, l’ipotetico amante, pur provocando enorme piacere alla moglie, sarebbe responsabile di un fatto, la separazione, e questa avrebbe determinato danni esistenziali agli altri componenti della famiglia, cioè marito e figli. Se il marito avesse chiamato in causa la moglie, avremmo potuto affermare che il danno non potrebbe essere considerato per il fatto in sé della separazione intervenuta, poiché separazione e divorzio sono strumenti previsti dall’ordinamento per rimediare all’intollerabilità della convivenza. A tal fine basta la disaffezione. Se invece un coniuge compie atti di intrinseca gravità e di aggressione ai diritti fondamentali dell’altro, può essere citato in giudizio, con o senza separazione, ed essere condannato al risarcimento del danno. Il pregiudizio subìto, cioè, non è la separazione in sé e la disgregazione della famiglia, bensì la lesione ingiusta dei diritti personalissimi indicati e tutelati dalla Costituzione, quali nome, identità, dignità, libertà, salute ecc., provocati dalla condotta illecita del coniuge. Tradire non è un illecito, quanto invece una grave violazione delle regole di condotta imperative poste dal contratto matrimoniale. Il marito, invece, nel nostro caso, ha fatto causa all’ipotetico amante. Ma è subito ovvio che ciascuno è libero di instaurare relazioni affettive e sessuali con chiunque, anche se coniugato, perché non esiste un dovere giuridico di astenersi dalle relazioni con chi è sposato. Né l’obbligo di essere solidali o di tutelare le famiglie altrui, per quanto la famiglia in sé sia protetta dalla Costituzione. Mala Costituzionetutela pure la libertà, di ogni individuo, di esprimere come meglio crede la sua personalità. Anche innamorandosi di persone coniugate. L’amante, o presunto tale, del resto è del tutto estraneo alle regole giuridiche del vincolo matrimoniale. Ci mancherebbe altro che fosse costretto a rispettare l’obbligo di fedeltà cui sono sottoposti, invece, i coniugi. Che, dunque, un terzo estraneo possa indurre una signora al tradimento, persino contro la sua volontà, non solo è squalificante della capacità di ragionare della signora in questione, ma è un’illogicità giuridica il pensare che in qualche modo possa essere punito: si darebbe per scontata quell’ipotesi del dovere di astensione che non esiste nel territorio giuridico attuale. Diverso sarebbe se l’estraneo alla famiglia ponesse, o avesse posto in essere, da solo o con il coniuge traditore, condotte illecite offensive e gravemente lesive del coniuge tradito, indipendenti dalle aggressioni al vincolo matrimoniale e non collegate al tradimento: ingiurie, diffamazioni, attentati alla vita e via dicendo. In tal caso risponderebbe anche civilmente dei danni causati dal suo fatto illecito. Non è possibile dire come finirà questa vertenza, perché la giurisprudenza è spesso creativa. Intanto, però, il marito infelice dovrebbe meditare sulle parole di Paulo Coelho “molti sono stati abbandonati dalla persona amata, eppure sono riusciti a trasformare l’amarezza in felicità“. Anche senza una sentenza.