Il grande giurista Arturo Carlo Jemolo aveva affermato che la famiglia è “un’isola che il mare del diritto dovrebbe solo lambire”. Forse c’era al suo tempo, nel dire questo, un che di polemico nei confronti dell’idea fascista e dello stato fascista che si erano “appropriati” dell’istituzione familiare. Oggi, però, di fronte a una magistratura autoritaria e invasiva a tal punto da sottrarre agli affetti familiari ben 32.000 minori, il principio di Jemolo dovrebbe tornare di grandissima importanza. Se non altro perché, apparentemente, viviamo in uno stato liberale, nel quale la famiglia non è più un’istituzione al di sopra dei diritti dei singoli componenti – come valeva fino all’entrata in vigore della Costituzione – bensì una formazione sociale nella quale devono poter emergere i diritti di ciascuno dei membri che ne fanno parte. In particolare, lo garantisce il Codice, i figli hanno diritto alla bigenitorialità e al mantenimento e all’educazione da parte di entrambi i genitori. Lo Stato, secondo la Costituzione, deve intervenire per aiutare lo svolgimento dei loro compiti e facilitarne l’attuazione. Fermi i principi costituzionali, che confermano l’autonomia della famiglia e le aspettative dei suoi componenti. Purtroppo ci sono norme del Codice Civile che, come anche le norme penali, vengono interpretate spesso dai magistrati in termini soggettivi ed eccessivi. L’intervento della pubblica autorità, a favore dei minori, dovrebbe aversi quando “il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri e pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui …”. In genere, l’esistenza delle ragioni di allontanamento viene pericolosamente avvistata e valutata dagli assistenti sociali e poi, quasi sempre, ratificata dai magistrati. Purtroppo gli “altri motivi” prevalgono sui motivi specifici e costituiscono un pozzo senza fondo per chi svolge il suo lavoro senza ricordare e rispettare i principi costituzionali italiani. E senza neppure essere sfiorato dal valore dei protocolli internazionali, quali la Convenzione dell’Aja, che sottolineano l’interesse del minore a non essere allontanato dalla famiglia e dai luoghi nei quali svolge la sua abituale vita quotidiana. Se in Italia ci sono 32.000 bambini separati dalla famiglia, ci dovrebbero essere circa altrettante famiglie incapaci, insalubri, pericolose, negligenti. E’ impossibile crederci. C’è, dunque, da chiedersi chi abbia interesse a strappare un bimbo alla sua famiglia e se, contestualmente, l’interesse del minore non potrebbe essere agevolato facilitando il compito della famiglia disagiata. Cioè aiutandola direttamente. A casa sua. Ogni bambino inserito in una casa famiglia costa allo Stato circa 70 euro al giorno. Vale a dire Euro 2.100,00 al mese. Questi denari, per esempio, potrebbero essere impiegati per pagare un educatore di supporto alla famiglia “incapace” o versati ogni mese direttamente alla famiglia per rendere “salubri” i locali d’abitazione. O no? Perché allora lo Stato (cioè tutti noi), spende – se i numeri sono giusti – euro 2.240.000 ogni giorno, e dunque euro 817.600.000 all’anno, per tenere 32.000 figli lontani dai genitori e, per questo, sentirsi definire dalla popolazione, allibita e disorientata, “sequestratore” o “rapinatore”? Sono numeri da Tsunami questi, non da mare del diritto che dovrebbe “solo lambire l’isola della famiglia”.