Si racconta che tra i ricchi americani si usi dire che le tre situazioni più impegnative e lussuose della vita debbano affrontarsi sempre con un contratto di locazione e mai d’acquisto, per non avere problemi di manutenzione: the float (navigare) to fly (volare) to fuck (fare sesso) always for rent. A questo punto bisogna superare il limite del gioco delle tre F, considerato che oltreoceano sta diventando una moda anche quella di prendere in affitto l’utero (uterus for rent) per farsi i figli. Passi Elton John che non ha l’utero, ma, dopo Sarah Jessica Parker, anche Nicole Kidman ha pensato bene di adeguarsi al trend, affidando a un’altra donna il confezionamento della sua nuova bambina. Mi fa orrore questo sistema. Rimango sempre dell’idea che ci sono tanti, troppi bambini nel mondo soli e infelici, e desiderosi di avere una famiglia. Ciononostante, ormai molte donne riescono a pensare, capricciosamente, di ordinarne uno su misura in appalto, quando non possono o non vogliono seguire la natura. O, preferiscono, non avere i fastidiosi problemi di manutenzione. In qualche raro e sporadico caso la maternità surrogata può avere un’ipotetica labilissima ragione, anche se difficile da capire. In linea di massima penso, però, che alla base di questa scelta spregiudicata ci sia sempre l’egoismo. Prendiamo il caso di Nicole Kidman: ha una figlia sua e due figli adottivi; non paga di questo, per avere una seconda figlia col suo dna, ha cercato una pancia in affitto, delegando così a un’altra il compito di formarla per nove mesi e poi partorirla. A questo punto la sua famiglia costituisce il campionario d’ogni possibilità generativa. Non bastano le sue lacrime commosse, né l’infinita gratitudine che dice di sentire per la locatrice, probabilmente strapagata, per convincermi della giustezza e della dignità di tutta l’operazione. Usare strumentalmente un’altra donna, non fa certo onore a una donna. Tantomeno mi sembra che entrambe possano, così facendo, onorare la maternità. Per quanto reciprocamente grate. C’è chi potrebbe obiettare che si tratta di un gesto di solidarietà femminile: un gesto, però, che odora di egoismo da una parte e dall’altra. Tutte e due le “madri”, non saprei dire quale sia la vera e quale la finta, hanno per di più acceso un’ipoteca pesantissima nell’anima e nei pensieri di questa bimba e di tutte le creature, come lei, venute al mondo in cooperativa: da cento anni psichiatri e psicologi curano infiniti casi di rabbie e confusioni filiali per le presunte colpe della coppia genitoriale abbattutesi sulla prole; che cosa succederà tra vent’anni a quei figli che verranno a sapere di essere nati grazie a una triplice , e non certo del tutto innocente, alleanza? Già oggi i professionisti, illustri e non, sono in imbarazzo nell’individuare il colpevole tra due… Comunque sia, nei casi di gravidanza per procura, tutti sono indifendibili anche da questo punto di vista: una mamma che non accoglie dentro di sé, l’altra che abbandona, il padre complice di entrambe. L’attenuante specifica di ciascuno è nella seduzione morbosa della scienza, che permette agli umani di travalicare i confini della finitezza naturale, fino a raggiungere, nel delirio di onnipotenza, il governo prepotente del mistero della vita. Il paradosso è, peraltro e per di più, che, d’ora in avanti, dovrà inevitabilmente cambiare tutto il nostro modo di pensare, e perfino di citare i brocardi che sono vecchi come il mondo: come potremo mai continuare a dire “mater semper certa est, pater numquam”, senza sembrare davvero troppo antichi o cadere nel ridicolo?