Fin da quando aveva sei anni, la mamma gli metteva lo smalto rosso sulle unghiette e gli pettinava i capelli, che aveva lasciato crescere lunghi fino alle spalle, e poi lo affidava al papà. Il quale, a tarda sera, lo portava in una baracca, lo stendeva su di uno sporco giaciglio e si appostava sulla porta per incassare il denaro da numerosi, lascivi, perversi, porci e brutali uomini che, l’uno dopo l’altro, abusavano di lui, fingendo che fosse una piccola lei. Lo sodomizzavano, violavano la sua tenera piccola bocca, ancora incorniciata da denti da latte. Si rivelavano, ai suoi occhi, non più innocenti, nella loro schifosa disumanità. Un giorno per strada, il disgraziato bimbo è stato intercettato dai vigili e affidato al centro del Bambino maltrattato. Ma i feroci genitori, spalleggiati da quattro amici, hanno fatto irruzione nella comunità e hanno rapito il bimbo, dopo avere bloccato – spruzzandole sul viso uno spray fortemente urticante – la coraggiosa educatrice, che col suo corpo aveva tentato di proteggerlo. Subito dopo e per i tre anni successivi, questi ripugnanti genitori hanno rimesso di nuovo in moto la macchina di sesso e soldi, che osavano chiamare figlio, finché le forze dell’ordine non l’hanno ritrovato e ricoverato in una comunità protetta. Qui il dolente ragazzino, che della vita aveva conosciuto solo la parte più abietta, ha cominciato a raccontare. Prima frammenti di ricordi sporchi e amari, poi dichiarazioni sempre più precise e circostanziate, con dettagli tragici e disgustosi. È stato considerato attendibile dal giudice che, in base alla sua narrazione, nell’aprile 2008 ha sottoposto i genitori alla misura della custodia cautelare. Nel frattempo, il sindaco ha nominato per lui un avvocato e davanti a un altro giudice si è svolto il percorso di adottabilità. Malgrado le sue ovvie fragilità psicologiche, conseguenti ai gravi traumi subiti, la depressione e l’ansia angosciante, il ragazzo, che ora ha tredici anni, ha trovato una famiglia generosa che si è assunta il coraggioso compito di fargli dimenticare il male. Oggi, quegli esseri indefinibili che hanno osato per qualche anno definirsi suoi genitori, sono stati finalmente condannati. Diciotto anni di carcere, perché hanno indotto il figlio, con meno di 10 anni, a prostituirsi e dunque a subire violenze sessuali di ogni genere, con abuso di autorità e con le aggravanti della continuazione e della parentela. Purtroppo non hanno condannato tutti gli abusanti, ma solo gli ormai ex genitori. Può sembrare una pena eccessiva, se paragonata a quella che si infligge a un assassino giudicato con rito abbreviato. Secondo me, questi meritavano l’ergastolo. Purtroppo il codice non lo prevede. Maltrattare il figlio così, con questi scandalosi comportamenti, vuol dire ucciderlo giorno per giorno, ogni momento. Significa consegnare alla vita un bambino con l’anima deturpata e i sogni abortiti. Prendere soldi da chi sporca, turba e martoria il piccolo figlio ogni sera, è quasi più tragico che ucciderlo in un raptus. Perché c’è la lucidità di nutrire il proprio terribile egoismo, l’inettitudine personale, la miseria del cuore. L’infelice ragazzo, nella sua infinita disgrazia, ha trovato tante donne – il sindaco Letizia Moratti, l’avvocato Chiara Belluzzi, il giudice Elly Marino, l’educatrice Giorgia Caforio – che per lui hanno fatto quello che l’innominabile madre non ha voluto fare. Dal loro accudimento umano e professionale è rinato ed è stato lavato dalle porcherie che gli incrostavano i pensieri. Ma anche tanti uomini, poliziotti e magistrati, che gli hanno accordato ascolto, protezione e giustizia. Come un padre, non ignominioso come il suo, dovrebbe assicurare. Tutta questa brutta storia ha come sfondo un campo rom e il ragazzino è rom. Cambia qualcosa il saperlo ora? No di certo, perché il valore della vita non ha colore né etnie. Milano, dal sindaco alle istituzioni ai professionisti, ha dato un grande esempio di civiltà, sociale e giuridica. Ma anche di amore.