Fossero state studentesse, magari anche di buona famiglia, il racconto di cronaca sarebbe stato indignato e allarmista. Invece per le coetanee vallette, divette o starlette, lo scandalo cocaina non è un problema. Né per loro, né per gli altri. Anzi. Intanto sembra darsi assolutamente per scontato che se una ragazza vive di spettacolo, di sé e per gli altri, debba necessariamente stare non solo sopra le righe delle regole, scritte o no, valide per chiunque, ma anche sopra quelle di cocaina. Tante. E senza che neppure faccia lo sforzo di andarsela a comprare, visto che ciascuna di loro dichiara di averla avuta in regalo da un altro. Se io fossi una ragazza di spettacolo e fossi tra le molte che certamente non fanno uso di cocaina, mi indignerei della non indignazione pubblica alle notizie di cronaca relative alla chiusura per droga di due noti locali milanesi. Pretenderei, appunto, quantomeno dagli opinionisti se non dai giornalisti, giudizi morali o persino discorsi moralisti, contro queste bellocce di quarta categoria pronte a tutto, anche a distruggersi di droga, pur di agganciare l’ascensore per il successo. Per arrivare chissà dove, senza fatica e senza confini al lecito, e rigorosamente senza talento. Anche nello spettacolo, come in qualsiasi altro luogo di lavoro, si deve poter distinguere chi ha talento e meriti, chi fa fatiche, chi è onesto, da chi sfrutta il proprio corpo e le debolezze altrui per raggiungere gli stessi obiettivi. Non è giusto, quindi, parlare di gente dello spettacolo in senso generico, di “Milano dei Vip”, e addirittura titolare trionfalmente “Belen incastra la Milano della cocaina”, quasi la soubrette fosse un fiero e meticoloso investigatore, invece di una qualsiasi sniffatrice rea confessa quale è. Come minimo, un giornalista di spettacolo, memore delle polemiche suscitate dalle analoghe confessioni di Morgan, avrebbe dovuto osservare, o meglio auspicare, che Sanremo e la Rai ora dovrebbero censurare Belen esattamente come a suo tempo hanno posto all’indice Morgan. A questo punto, infatti, delle due l’una: o si distingue la frutta sana da quella bacata e, di conseguenza, si applicano regole e veti, oppure si faccia serenamente d’ogni erba fascio e la si smetta di prendere cappello e provvedimenti capricciosamente, per poi innalzare trofei di frutta marcia e venderla al prezzo delle primizie. Sarà anche un ragionamento da bacchettona e moralista, ma io trovo davvero insopportabile che una dichiarata aspiratrice di cocaina, per quanto ne tema – a suo dire – gli effetti, sia il testimonial ultra pagato e onnipresente di un gestore telefonico nazionale; il cavallo preferito su cui punta Sanremo; l’oggetto della solidarietà italica per l’abbandono del fidanzato; il top – richiamo di qualsiasi copertina. Se solo penso alle tragedie ingiuste sopportate dai grandi e indiscutibili Walter Chiari, Luttazzi e Tortora (imparagonabili alle modestissime starlette) per molto meno e per meri sospetti, mi domando quale sia la ragione del garantismo e dell’immunità a favore di certe soubrettine e della Rodriguez in particolare. E’ la bellezza femminile, anche se priva di alcun merito, che paga sempre? Il lato b, a chiunque appartenga? Oppure il modernissimo azzerbinamento italico al personaggio famoso? Non so, non capisco: fatto sta che la notorietà non dovrebbe essere l’attenuante di qualsiasi peccato, quanto piuttosto l’aggravante per ritenerlo imperdonabile. Chi è diventato famoso, più facilmente si pone come esempio a un numero imprecisato di persone. Quante avranno imparato dai quotidiani di ieri che le piste di cocaina si attraversano disinvoltamente, senza danni, ma danno fama e denaro in abbondanza senza nessun rischio di vergogna?