C’è un mito, per il quale la madre è incarnazione dell’amore, sacrificio, annullamento di sé a favore della vita che ha generato. Di conseguenza c’è il mito opposto: la madre che non corrisponde a questo stereotipo è mostruosa, malata o indegna. Nel mezzo c’è la realtà, necessariamente diversificatissima, di tutte le mamme del mondo: ciascuna vive la maternità – un compito comunque sia assai gravoso – a modo proprio, certamente influenzato dalla cultura, dalla storia personale, da chi le sta o non le sta intorno. L’istinto materno, secondo ormai la maggior parte degli studiosi, non esiste e se esiste non è così determinante in positivo: storia, mitologia, letteratura e cronaca ci raccontano infatti nei secoli di terribili madri assassine: Medea per vendetta uccise i propri figli; a Sparta le madri gettavano dalla rupe Tarpea i neonati deformi. Ancora oggi in Cina, complici le madri, si uccidono le figlie eccedenti il numero legale. Platone suggeriva di sterminare i figli nati da donne ultraquarantenni e da padri ultracinquantenni (oggi sarebbe la strage…). Un tempo in Bulgaria – e le madri non si opponevano – si seppelliva un piccolo bimbo sotto le fondamenta di un edificio per propiziare la fortuna degli abitanti. Ancora oggi la tradizione rimane, ma, per opportuna eleganza, si preferisce sotterrare uno spago della stessa lunghezza del bimbo che si sarebbe all’uopo potuto usare. Allora, se non c’è l’istinto materno, forse è possibile parlare di amore. Ma l’amore è un sentimento umano, e perciò segnato dall’imperfezione. E dalla provvisorietà. L’amore può essere troppo o troppo poco, è ambiguo, si scompone anche nell’odio, è ingannevole. Non tutti peraltro sono capaci di amare. Una madre sufficientemente buona e amorevole è quella che sa di non essere perfetta, né ideale, né completa. Si occupa con responsabilità affettuosa del figlio, e dà spazio al padre, indispensabile cerniera tra il mondo materno e quello sociale. Basti questo a dedurre che l’amore materno non è affatto innato e tantomeno scontato. Del resto tutti conosciamo troppi figli orfani di madre vive, ignare, incapaci di gesti d’amore o troppo oppressive; smarrite tra l’attrazione e la repulsione verso i figli. Combattute, il più delle volte, tra l’essere donna e l’essere madre. Ci sono donne che fanno figli per consolazione, per narcisismo, per interesse, per rivalsa. Per caso o per dovere. Mamme cattive che poi subiscono malamente la maternità, si angosciano per il corpo deturpato, diventano invidiose o rivali dei figli, li perseguitano o li inglobano in sé per tutta la vita. Mamme implacabili e sciagurate, maltrattanti o anaffettive, depresse o esasperate. Mamme violente che compiono atti malvagi fino ai più inspiegabili omicidi; mamme che desiderano morire, per disperazione, solitudine, senso di inadeguatezza, e uccidono con loro anche la nuova vita. Giudicata, in un lampo di orrore, invadente e inutile. Ci sono mamme che percepiscono il pianto dei figli come l’indebita intrusione nella propria intangibile sfera di libertà e di limitate capacità. Non c’è coscienza dell’esistenza di un altro diverso da sé. Quindi non ci può essere amore da dare, da esprimere. Dunque, si può uccidere anche per mancanza d’amore, per insofferenza. Perché non se ne può più di un figlio, magari solo dopo pochi giorni o pochi mesi. Qualsiasi cosa vogliano o possano dire, per giustificarle, quelle persone che trovano tutte le argomentazioni possibili per offrire indulgenza alle mamme figlicide. Chi uccide suo figlio a volte sarà veramente malata, ma sempre più spesso vi è la prova che è inadatta a dare la vita, perché incapace anche a governare la propria. E dunque non è la sola responsabile del mostruoso omicidio: i suoi complici sono il padre del bambino, i parenti, gli amici, gli operatori sanitari. Chiunque abbia avuto modo di starle vicino prima, durante la gravidanza e dopo il parto. Innanzitutto perché qualsiasi madre in quel periodo non deve essere lasciata sola e non deve portare il carico delle aspettative personali e di tutti. A maggior ragione una donna che in qualsiasi modo possa sembrare immatura o eccessiva. Chi la circonda deve cercare di capirla, deve saperla sostenere e deve farsi carico delle sue ansie o delle sue certezze che, altrimenti, diventano un peso insostenibile con il contraltare inevitabile delle emozioni, fisiche e psichiche, fortissime. Ci sono zone d’ombra inquietanti in ogni maternità, ma non tutte le donne hanno i muscoli mentali per diradarle. Le madri danno la vita e la possono togliere. L’onnipotenza di una mamma può essere temperata solo dall’attenzione e dall’affetto di chi le sta vicino. Dalla lungimiranza e dalla comprensione. Non tutto può essere spiegato e giustificato con la patologia psichica della madre omicida, solo per placare la coscienza di chi sta a guardare. Ci sono madri sane di mente ma negligenti, antisociali, alcolizzate, drogate, abbandonate, sadiche, dissimulatrici, strafottenti, inadeguate, egoiste, vendicative. Non si può far finta di non accorgersene e lasciarle sole, anche per un minuto, con una piccola creatura, inconsapevole che il male più brutto del mondo può essere la sua mamma.