Le cose, sulla carta della legge, stanno così: prima di divorziare è necessaria una sentenza di separazione giudiziale o un verbale omologato di separazione consensuale; dopodiché devono trascorrere 3 anni dalla prima comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale e, finalmente, può darsi impulso al divorzio. Che, a sua volta, può essere consensuale o giudiziale. Se consensuale, i futuri ex coniugi depositano un ricorso concordato con i rispettivi legali e, dopo 6-8 mesi, compaiono di nuovo in Tribunale per confermare l’accordo. Se, invece, non c’è condivisione sul divorzio, né sulle condizioni, si dà inizio a un vero e proprio processo. Nel migliore dei casi possibili, cioè se c’è accordo, dal momento della decisione di separarsi al momento della sentenza di divorzio non possono passare meno di 4 anni: 3 anni per legge, 6 mesi per avere l’udienza di separazione e altrettanti per quella di divorzio. Quando, invece, il conflitto è bollente, i tempi si allungano a dismisura. Faccio un esempio: lui vuole divorziare il più tardi possibile (sa che la legge non gli consente di opporsi al divorzio, ma sa anche che la procedura civile gli permette tattiche dilatorie) perché la moglie è ricchissima e confida che nelle more del processo lei possa persino morire, cosicché egli possa ereditare quantomeno la quota legittima del patrimonio di lei. Non c’è problema per il nostro: fingerà una lunga trattativa pre-giudiziale per poi non accordarsi all’ultimo e costringere la consorte al deposito del ricorso giudiziale. All’udienza fissata, a 6 mesi dal deposito del ricorso, l’aspirante ereditiero non si presenterà, mandando un certificato medico, e il Presidente, obbligato a esperire il tentativo di conciliazione delle parti, non potrà non concedergli almeno un rinvio, che in media è di 3 mesi, giacché il tempo non dipende solo dal tipo di malattia ma anche dall’affollamento del ruolo del giudice. Il nostro avrà così conquistato almeno un anno e nove mesi. Dopodiché, potrà ottenere ancora dai 2 ai 7 anni prima della sentenza di separazione, salvo che nel frattempo non vi sia stata la cosiddetta sentenza parziale. In tal caso il divorzio si potrebbe avere in circa 5 anni, a meno che le sentenze parziali non siano appellate e portate in cassazione. In questo caso, per quanto si sia cercata la via breve, il divorzio non ci sarà mai prima di 10 anni. Frequenti tuttavia sono i casi di 18-20 anni, con figli nel frattempo divenuti maggiorenni e futuri ex coniugi diventati nonni attempati. E’ a tutti evidente come questa logica (in)civile e processuale imprigioni i diritti, i sentimenti, il racconto personale di vita delle persone; è altrettanto evidente come ogni anno molte decine di migliaia di queste storie affollino inutilmente i percorsi, già contorti e intasati, dei tribunali italiani. A corollario di questa situazione ci sono migliaia di seconde e terze famiglie non legittimate, miriadi di figli cresciuti nel conflitto, beni in comunione fatti sparire e, soprattutto, la sensazione dell’ingiustizia, per ciascuno, sia di poter sequestrare sia di essere sequestrato a vita, con l’aiuto dello Stato e delle sue leggi. Credo di essere statisticamente più convincente dell’Istat quando dico che almeno il 70% dei cittadini interessati al divorzio non accetta il significato della separazione. Significato che, nel nostro ordinamento, è racchiudibile nelle sole possibilità di potere ripensarci oppure di non voler divorziare mai, per convinzioni religiose. Quest’anno a maggio saranno esattamente 40 anni dall’introduzione del divorzio in Italia. La civiltà giuridica e sociale ha completamente assimilato l’idea di divorzio come ipotesi possibile di conclusione del progetto coniugale. Pur con il dolore che porta con sé, il divorzio non è più giudicato con toni scandalizzati, né l’imposto “triennio” di riflessione tra separazione e divorzio segnala numeri significativi di riconciliazioni. In realtà, in quegli anni, si litiga moltissimo per contendersi soldi e figli, dando lo stesso valore agli uni e agli altri, tanto da costituire sovente merce di scambio alla pari. Un orrore fomentato dai lunghissimi tempi processuali e dagli eccessivi garantismi della legge. Devastazioni possibili quando la legge viene piegata ai sentimenti negativi delle parti in causa. Nel disastro, è auspicabile che i termini di legge tra separazione e divorzio vengano ridotti. Come suggeriscono diverse proposte di legge presentate tra l’aprile 2008 e il marzo 2009. A mio parere sarebbe molto più interessante e risolutivo, invece, che divorziare fosse possibile da subito, su accordo delle parti, in alternativa alla separazione consensuale. Questa sarebbe una decisione bipartisan, a favore sia dei laici sia dei religiosi. E’ del tutto illiberale la pretesa dei cattolici di escludere il divorzio ab origine solo per difendere il vincolo, pretendendo che si arrivi a poco a poco, ma possibilmente mai, a reciderlo definitivamente. In questi 40 anni il termine interlocutorio e di eventuale ripensamento si è progressivamente accorciato; il ridurlo a un anno costituirebbe l’ennesimo compromesso ipocrita e zuccheroso, discriminatorio comunque dei diritti di chi non è religioso, di chi non ha figli e di chi, per esempio, è stato sposato un anno e deve aspettarne 4 per tornare libero. Azzerati i tempi di attesa e posto il divorzio come alternativa alla separazione, i coniugi spenderebbero la metà, gli avvocati avrebbero metà delle cause da trattare e i giudici anche. Immagino le discussioni, gli emendamenti, i convegni e le relazioni che si faranno su queste proposte di legge, solo apparentemente riduttive dei tempi. Per l’ennesima volta si finirà o con il non farne nulla o con il dare il solito contentino ai garantisti di una presunta e simbolica famiglia che oramai non esiste più da tempo. Ma non hanno mai pensato, i nostri parlamentari, che i problemi del divorzio si potrebbero superare agevolmente, ancora, con l’introduzione nel nostro ordinamento dei patti prematrimoniali? Non c’è niente di meglio per due persone che accordarsi sul futuro nel momento massimo di godimento spirituale e fisico. Dopodiché, decisa l’opportunità di divorziare, non ci sarebbe altro da fare che applicare le sagge pre-visioni. Con buona pace di giudici e avvocati. Ma ancora più furbo sarebbe l’eliminare dal codice civile quegli articoli per cui vengono garantite quote di riserva agli eredi legittimi. Quale coniuge potrebbe mai impegnare soldi e tempo per allungare il processo, ove non ci fosse una precisa aspettativa ereditaria? E non dica qualcuno che questa sarebbe un’interessante e interessata legge ad personam!