Si stava meglio, quando si stava peggio? Una volta la coppia “coniugabile” veniva organizzata e scelta dalle famiglie d’origine. I matrimoni erano per lo più di convenienza, economica, sociale, “morale”. Non c’era sempre la libertà di amare, ma era assicurata una certa stabilità sociale. In assenza di separazione e divorzio, si cercavano emozioni clandestine ma si nascondevano tutte le porcherie e le bassezze sotto il tappeto di casa. Si soffriva, certo, quando si incappava in sentimenti grandi e positivi, ma la famiglia, come nucleo sociale di riferimento, aveva un potere, anche condizionante, molto più forte di qualsiasi diritto o bisogno individuale. Poi sono cambiati il diritto e la sensibilità sociale. Il divorzio ha introdotto il senso della libertà personale, le coppie hanno cominciato a formarsi per scelta e non per dovere. Il sentimento e la passione sono diventati le variabili, spesso pericolose, della stabilità coniugale. Finché, abbattute le ultime barriere del diritto penale, le coppie oggi si costituiscono senza più neppure la contrattualizzazione con lo Stato: libere convivenze etero e omosessuali con l’obiettivo di un patto estemporaneo, e più spesso temporaneo, tra le persone; a volte senza un progetto ben definito, ma con l’obiettivo di rimettersi al destino dei sentimenti. Negli ultimi anni, con la progressiva maggiore autonomia, non solo della donna, la coppia si propone spesso come inevitabile soddisfacimento del bisogno di genitorialità di chi, fino a un certo punto, ha vissuto solo per se stesso. Dunque la coppia, nel tempo e fino a oggi, è stata un ammortizzatore sociale indispensabile allo Stato e all’ordinata convivenza dei cittadini. Le regole di convivenza – le norme giuridiche – costituiscono forse una prigione, ma hanno l’energetica potenza del contenimento dei bisogni e degli istinti individuali. D’altra parte la coppia abbatte anche i costi sociali: due stipendi, una sola casa, solidarietà immediata nelle emergenze sanitarie etc…Il cinema, la pubblicità, il marketing rivolgono i loro contenuti alla coppia e alle sue vicende, secondo una dinamica economica ormai stratificata e di cui siamo ben consapevoli. Stato e Chiesa infatti sollecitano la costituzione della coppia finalizzata a formare la famiglia e a governarne i bisogni specifici; le aziende pubblicitarie promuovono prima la coppia poi il prodotto, e il Mulino Bianco insegna. Ora questa nuova scoperta scientifica, rivoluzionaria e inquietante, assicura che per la procreazione la coppia non è più necessaria. Esiste però già questa possibilità, da tempo: è storia di tutti i giorni quella di programmi monogenitoriali per cui l’uomo e la donna, ciascuno per conto proprio, si procurano all’estero sperma o utero, secondo la necessità, per fondare una famiglia, creata non dalla coppia ma dal proprio solitario bisogno di prolungarsi nel tempo. Questo obiettivo, ormai appunto già raggiunto nei fatti, non è lesivo tanto dei figli – è abbastanza consueto infatti che uno dei genitori costituisca un elemento di danno per i minori e che l’altro si faccia carico integralmente della loro educazione e del mantenimento – quanto piuttosto della coppia, come nucleo capace di garantire la distribuzione e il coordinamento dei problemi connessi all’organizzazione della società. Pur con tutte le negatività passionali e conflittuali che nascono dai sentimenti deteriorati di coniugi e amanti. A maggior ragione la scoperta scientifica dell’Università di Stanford, per la quale dalle cellule staminali si riproducono, per una sorta di auto germinazione, sperma e ovuli, tanto che non esisterebbero più né l’altro genitore biologico né, forse, l’utero formativo, toglie definitivamente valore alla coppia: al pilastro associativo sul quale modellare sentimenti, vita, Stato, figli. Il mondo che verrà, senza questo pilastro, sarà un mondo più libero: meno coercizioni, ma meno stabilità, meno certezze, ma anche più solitudine. Ai figli si ricomincerà a raccontare di essere stati portati dalla cicogna, per non dover loro spiegare di essere il frutto non dell’amore ma di un'”autogerminazione” in laboratorio. E dovremmo buttare via tutti i libri, le canzoni, i dvd che raccontano dell’aspettativa amorevole che ogni madre fino a oggi ha riservato loro, quantomeno per nove mesi. Si percepiranno, i ragazzini, come prodotti acquistati, forse persino per corrispondenza. Agli uomini e alle donne toglieremmo le emozioni degli incontri di coppia progettuali e sognanti. Il sapere che un altro, non un bimbo, ci è essenziale. Qualche mamma sarà persino felice di non deformare il suo corpo, di non “partorire con dolore”, ma non potrà mai apprezzare la carezza dell’uomo amato al suo pancione e il primo strillo del bambino che si stacca da lei. E gli uomini faranno forse un altro salto doppio carpiato nella femminilizzazione, sostituendosi integralmente a tutto quello che sarebbe stato dato al bimbo dalla mamma che non c’è? E’ comprensibile voler risolvere i problemi della infertilità, ma non si possono oltrepassare confini e territori che garantiscono all’essere umano di rimanere tale e di avere sempre bisogno di un altro, per potersi nutrire anche di sentimenti e illusioni. Non solo di esperimenti scientifici. L’altro da sé, quello con cui pensare di attraversare la vita, non può essere un figlio voluto solo per se stessi, con partenogenesi solitaria dal sapore chimico. La ricerca scientifica è indispensabile anche per sondare la capacità dell’uomo di superare se stesso e l’ignoto, ma non deve poter coltivare la presunzione dell’individuo fino a farlo sentire superiore al mistero della creazione. Ci sono delle regole da seguire se non si vuole vivere da eremiti. Spesso la mancanza di regole sembra un dono – a volte si chiama libertà – che tuttavia ha un prezzo costosissimo: il disordine e l’incertezza. Anche dell’anima.