In un convegno a Napoli (forse nel 2005) l’europarlamentare Lilli Gruber, si definiva con fierezza “donna con le palle”. Io, e non solo io spero, quando sento questa frase, spesso da uomini impauriti e ammirati, mi innervosisco non poco: perché una donna per essere apprezzata deve essere gratificata con un attributo maschile, peraltro non particolarmente elegante? A parte la visione inquietante della “uoma” in gonnella che si concretizza tra gli astanti, non è certo l’essere dotato di una zavorra dondolante che rende l’uomo uomo, nel senso cioè di persona di carattere e volontà. E tantomeno la donna. E’ questo un modo di pensare e di dire molto volgare, che umilia le une e ridicolizza gli altri. Purtroppo, all’origine, l’errore è proprio delle donne che, nella disordinata ma efficace corsa alla conquista della parità, hanno preferito adeguarsi e omologarsi al modello maschile, piuttosto che proporre l’esaltazione della differenza. Le femministe sono state indispensabili e valide, ma nella foga della rivoluzione hanno sbagliato, mirando all’uguaglianza indifferenziata, e preferendo così farsi loro stesse fotocopie proprio dell’archetipo che stavano combattendo. Oggi la maggior parte delle donne vuole essere fiera dell’uguaglianza, malgrado i disastri sentimentali e sociali che un simile pensiero genera, e non pensa invece a soffermarsi sulla pari dignità né, soprattutto, sul ricco e creativo valore della differenza. Biologica, mentale, comportamentale. In questo territorio livido da “day after”, dove uomini e donne sono in crisi di passioni e relazioni e si guardano con sospetto e incredulità, si avverte il rischio dell’omologazione sessuale che segnerà la fine del femminile. Ecco allora che si leva la voce potente e femmina di una brava giornalista che, col suo libro “La scomparsa delle donne” (Mondadori), ci invita seriamente a riflettere. Marina Terragni conclude il suo saggio affermando “quello che posso fare io per gli uomini – smarriti tanto quanto le donne – è di onorare la mia di differenza. Semplicemente essere una donna”. Il percorso di pensiero che ci fa attraversare, per giungere a questo proposito, è onesto e semplice. Per accedere all'”assoluto maschile”, ora il prezzo è quello di infilarsi nella pelle degli uomini. Ma se emanciparsi vuol dire non essere più schiave dell’oppressione maschile, perché ora siamo diventate schiave dell’idea di essere veri uomini, quando non abbiamo neppure tentato di essere vere donne? “Oggi gli uomini sono come scorticati dalla fine del patriarcato” e “il mondo è pieno di tracce di questo universo femminile, di indizi che aspettano solo che qualcuna li scopra”. E, dunque, come suggerisce di agire, Marina Terragni, affinché si possa vivere liberamente la femminilità, senza perdersi nulla, ma anzi dando corpo e contenuto alla relazione uomo-donna? Rinunciamo a competere con il maschio, impariamo a disfare le corazze che ci hanno aiutato a guerreggiare, proviamo a esportare sui luoghi di lavoro la nostra capacità di organizzazione ed economia domestica. Forse è bene stare un po’ più quiete, esaltare la nostra capacità di “imparare a patire per imparare ad agire”, coltivare la nostalgia per ciò che è solo femminile. Ri-valorizzare il grande lavoro della maternità e della cura. In tal modo, forse, gli uomini non si sentiranno più autorizzati alla violenza, all’ingratitudine, alla smania di dominio. Lessicale, politico, personale. La lotta è tra gli uguali, non tra i differenti, che possono invece proporre nuovi modi di pensare a sementi preziose ai progetti comuni. Se tutte noi donne volgeremo lo sguardo su noi stesse, non sarà una retromarcia, non verremo tacciate di vieto conservatorismo e neppure perderemo la dignità della parità conquistata. Ci spoglieremo invece della rabbia ancestrale e della frenesia moderna e muteremmo la prospettiva dalla competizione alla consapevolezza. Avremo finalmente la libertà di “stare al mondo da donne”. Con i diritti e i doveri uguali a quelli dei maschi, ma con la nostra esclusiva, precipua, energia femminile. Senza che qualcuno mai più osi dire “questa è una donna con le palle”.