La solita, imbarazzante, lamentela dei papà separati è questa: I divorzi aumentano; i costi di mantenimento dei figli sono alti altrettanto quelli degli avvocati; chi guadagna 1.500 ha dunque a disposizione meno di 400 €; circa 800 mila separati vivono sotto le soglie di povertà; 3.500 papà separati sono quasi clochard che frequentano i dormitori pubblici. In questa “emergenza”, la prima seria considerazione critica che si può fare contro questa ennesima lagna è: “le loro mogli invece stanno meglio?” “e i loro figli?” Da qui una cascata di logiche domande. Primo. Quale era la prospettiva di vita di questi papà separati che, nell’esempio da loro proposto, guadagnerebbero 1.500 € dovendo impiegarne 1.100 ogni mese per pagare figli e spese legali? Che cosa succedeva quando loro erano in casa? Quando convivevano con la famiglia e non avevano i costi degli avvocati? E quanto riterrebbero giusto dare per crescere i loro figli? C’è da chiedersi se le mogli lavorassero o no. E se no, perché? C’è ancora da chiedersi che genere di donna abbiano scelto come moglie e perché non si siano dati da fare per mantenere la famiglia unita anziché lasciare che si smembrasse. Bisogna anche domandarsi perché preferiscano il vittimismo del clochard alla più dignitosa soluzione di tornare nella famiglia di origine. C’è poi da indagare su che avvocati abbiano scelto (evidentemente cari ma perdenti) e quale giudice Torquemada abbiano mai incontrato. Nel concreto. Ipotizziamo che questo papà separato presunto clochard abbia una moglie non produttiva di reddito e due figli. Secondo uno schema elaborato dal Tribunale di Monza, e peraltro più o meno seguito in tutta Italia, a fronte di un reddito di 1.500 €, tenuto conto anche dell’assegnazione della casa familiare, il Giudice pone a carico del coniuge più forte un assegno in favore dei figli pari a circa 1/3 dello stipendio e pari circa al 10% in favore della moglie. Quindi dei 1.500, a spanne, 500 sarebbero per i due figli e 150 per la moglie. Allora ci deve spiegare, il povero clochard di rimessa, primo come possano vivere tre persone con 650 €; (punto e virgola al posto di e) secondo come mai lui sia costretto ad andare al dormitorio avendo, da solo, a disposizione 850 €. Terzo deve, in ogni caso, responsabilizzarsi sulle sue scelte precedenti la separazione: accettare che la moglie non lavori e mettere al mondo due figli non potendo loro garantire né una famiglia serena né una separazione decorosa. In ogni caso, il malinconico senzatetto non ci ha ancora spiegato quale giudice e quale avvocato lo abbiano fatto restare con appena 400 €. Che costituiscono pur sempre il doppio, per lui solo, di ciò che rimane a disposizione di ciascun membro della sua famiglia, cioè 220 € scarsi. Potrebbe replicare il poverino: “ma loro hanno la casa”. Si potrebbe ribattere che questo è un costo da detrarre da quei 650 €. Purtroppo con questi implacabili papà separati, i ragionamenti razionali e concreti, conti alla mano, non bastano, anzi non servono veramente a nulla. Preferiscono organizzare ogni tanto qualche “daddy’s pride” – c’è forse dell’orgoglio più grande che chiamarlo orgoglio paterno? – svelando la loro patetica competizione con le madri alle quali vengono “dati” i figli più che a loro. Preferiscono lamentarsi dei costi legali e perdere tempo invece di mettere in discussione i loro sistemi di vita e di organizzare più produttivamente, anche in termini affettivi, il loro tempo. E’ davvero scandaloso che anche nella vigenza della legge sull’affido condiviso – applicata nel 94% dei casi – queste associazioni di padri dolorosi continuino a esprimere rabbia e rivendicazione verso le mogli, i giudici e gli avvocati senza mai riflettere un solo momento, con saggezza e lealtà, su loro stessi. Comunque sia, io non credo a queste opportunistiche statistiche che vengono divulgate appunto in occasione di queste manifestazioni pubbliche. Non credo che il 70 % di frequentatori di dormitori siano padri separati responsabili e per bene e percettori di stipendi che corrispondono all’80% degli stipendi medi italiani. Non credo che la maggior parte dei padri separati debba vivere in uno sgabuzzino da 70 € al mese o in un garage e mangiare alla mensa dei poveri. E’ ridicolo che quelli che si lamentano e propalano questi dati si accaniscano contro “l’industria fiorente del divorzificio” e le loro mogli. Nel corso della mia attività professionale mi sono interessata a circa 18.000 casi e neppure uno coi dati catastrofici riferiti dai papà separati. Né clienti né avversari. Più frequenti sono, invece, i casi di papà che non vogliono pagare, che fingono di non avere denaro per pagare, che simulano di essere diventati poveri, che pretendono di avere i figli con sé solo per non versare denaro alle mogli. Numerosi ancora i casi di papà violenti e anaffettivi. Vicini per numeri a quelli di madri violente e anaffettive, in verità. Dunque, se questi papà separati vogliono fare i sociologi, gli psicologi e i giuristi, prima di tutto imparino a diffondere dati realistici, in secondo luogo non se la prendano con gli altri, ma comincino a fare autocritica e in terzo luogo non perdano tempo a piangere, ma onorino il loro ruolo di padre con l’orgoglio della fatica e dell’impegno indirizzati al concreto. In sostanza alcuni papà, erano dei potenziali clochard ancora prima di sposarsi.