Un po’ il rischio se lo vanno proprio a cercare. Le donne italiane, ancora con qualche difficoltà nel gestire la pari dignità giuridica coi loro uomini, si consegnano spensierate a magrebini, pachistani, albanesi, extra comunitari in genere. Soprattutto mussulmani. Interessanti, fascinosi, la maggior parte certamente deliziose persone. Ma tanto differenti da noi: per storia, cultura, educazione, senso del diritto. Non sempre l’amore è così potente e duraturo da bonificare la distanza che segnala e definisce il territorio di ciascuno dei partner che, anzi, sovente si trasforma in campo di guerra dove schierare sui due fronti i parenti, gli amici, la legge. E i figli, purtroppo, goloso bottino da conquistare o, peggio, da trafugare per sempre. Con la complicità, a volte, del nostro stato incapace di fare sentire la forza del diritto nazionale persino ai paesi “governati” dalla sharia. Ma queste benedette donne – ingrate verso le femministe conquistatrici negli anni, per loro, della legge che ora le vede autonome e sullo stesso piano degli uomini – non riescono proprio a immaginare cosa possa succedere della loro vita quando, dispersa la tempesta ormonale, dovranno negoziare con il marito l’educazione dei figli, l’osservanza delle diverse tradizioni, delle usanze religiose o delle feste canoniche? Sono pronte ad accettare la poligamia e la sudditanza al maschio? Sanno che, se hanno sposato un mussulmano, per esempio, potranno essere ripudiate con un sms? Senza matrimonialisti di sorta che possano con successo far valere la loro posizione di coniuge debole. Infatti il tribunale di Bologna nel 2003 ha riconosciuto per i mussulmani il diritto alla poligamia in Italia, giacché “è irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni”. Di conseguenza anche il ripudio, ma pure la punizione corporale della donna disubbidiente, e non approfondiamo più di tanto. Gli uomini italiani, peraltro, si vanno a cercare prevalentemente le donne dell’ Est, polacche, rumene, croate, belle adesive e flessibili a ogni fantasia di potenza del maschio. Finché, intelligenti e scaltre, non percepiscono la forza della nostra legge che, al momento di divorziare soprattutto, le pone sullo stesso piano del marito. Dunque, per essere stati sordi al detto popolare e saggio “donne e buoi dei paesi tuoi”, molti di coloro che hanno voluto globalizzare sentimenti e tradizioni, si ritrovano soli in patria; senza più il tessuto affettivo frettolosamente allestito e poi altrettanto rapidamente stracciato dalla diversità, spesso, incolmabile, perché non compresa e non vissuta con accorta lungimiranza. Soli, senza neppure i figli emigrati d’imperio. Intuisco a questo punto l’obiezione che chiunque può avanzare. E rispondo. E’ vero, queste cose orribili succedono anche da noi e fra noi: la differenza di educazione, cultura, storia, progettualità esiste anche in questa piccola Italia e i matrimoni omogenei pure qui finiscono nella violenza e con la sottrazione dei figli. Appunto: perché rendere le cose più problematiche e rischiose, come dimostrano peraltro statistiche e fatti di cronaca, chiedendo poi aiuto al nostra stato che, già con estrema difficoltà, fa valere le sue leggi solo all’interno di questi angusti confini? E’ meglio allora accontentarsi del già complicato e precario matrimonio no global. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. ,Annamaria Bernardini De Pace