A scuola si inventano la lezione di sentimenti

Esiste un sentimentologo? E, se esiste, chi gli ha dato la patente? Un altro maestro di sentimenti forse? Un filosofo? Un pedagogo? Un playboy magari? Mi sembra riduttivo e pericoloso proporre l’introduzione a scuola dell’ora di sentimenti. In questa parcellizzazione ormai imbarazzante dell’educazione scolastica, c’è la proliferazione eccessiva della cosiddetta “specializzazione in qualcosa”. Capisco che, così facendo, si potrebbero moltiplicare i posti di lavoro, ma si moltiplicherebbero anche l’ansia e la confusione di ragazzini costretti a fare zapping nella cultura. Anziché nutrirsi della cultura umanistica, scientifica, artistica. Ciò che, possibilmente, dovrebbero fare a scuola. E, per di più, si avallerebbe la mania di delega che oggi i genitori sembrano avere nei confronti dei loro figli: l’evoluzione psicofisica dei bambini avviene ormai sotto il controllo di tate, nonni, asili, scuola e doposcuola, televisione, discoteche. I genitori sembrano limitarsi a esibirli o a sgridarli, preoccupandosi solo che ci sia sempre qualcuno a sostituirli, mentre sono al lavoro, dal parrucchiere, in palestra, in viaggio, al cinema e a cena da amici. Questa si chiama irresponsabilità, cioè incapacità di rispondere al ruolo e alla funzione che liberamente si è scelto di affrontare. Costituire una famiglia è un’occasione preziosa e prestigiosa, se viene suggerita da sentimenti di amore e lealtà. Ma è anche una seria assunzione di responsabilità, affettiva e giuridica, verso chi viene coinvolto nell’entusiasmante ma difficile percorso. I figli, sopra ogni altro. I figli che hanno il diritto non solo di essere mantenuti e accontentati, ma primariamente di essere istruiti ed educati. Anche ai sentimenti. Nella quotidianità della relazione familiare coi propri genitori, i bambini fin da piccolissimi devono poter imparare il senso dell’amore, della generosità, della gratitudine. Ma anche capire il perché della rabbia, della vendetta, dell’odio. E ogni genitore trasmetterà così il suo sapere dei sentimenti, modulandolo sulle esperienze già vissute e su quelle affrontate con i figli. A volte sarà un sapere grezzo e semplice, altre più sofisticato o complesso. Comunque omogeneo al nucleo familiare e al territorio affettivo in cui si vive. Poi i ragazzi crescono, incontrano le maestre, i professori, i preti, gli istruttori di ginnastica, gli amici di entrambi i sessi. Ascoltano le canzoni. Si imbattono nei libri e film d’autore. Hanno esperienze di amicizie e di conflitti. Si entusiasmano o si sentono frustrati per gli accadimenti quotidiani. E quei semi di educazione, sparsi e coltivati con attenzione da genitori responsabili, maturano, fioriscono, si elaborano fino a dare i frutti di una giusta educazione sentimentale. Certo, ci sono anche semi non piantati, non innaffiati, non riconosciuti. Ci sono storie di padri e madri incapaci di favorire la crescita culturale e sentimentale dei figli. Inconsapevoli del soffio di energia vitale che la loro presenza e il loro esempio trasmettono ai figli. Ci sono genitori che rimangono allibiti nel constatare reazioni inaspettate dei loro ragazzi: non mettono mai in discussione se stessi e la propria leggerezza nell’averli fatti allevare ed educare da altri, spesso sconosciuti nel profondo, con storia e sensibilità estranee al tessuto familiare. E, dunque, non si capisce che senso possa mai avere un insegnante di sentimenti. Per di più selezionato chissà da chi. Può darsi il caso che egli si esprima in lezioni magistrali e profonde, proponendo agli attenti allievi considerazioni sull’onestà, l’amore, la responsabilità e la fedeltà. Può darsi anche che gli allievi capiscano e imparino. Tuttavia può succedere che qualcuno di loro, tornando a casa, si ritrovi a giudicare un padre che tradisce la madre con una ragazzotta, oppure la madre che trascorre le giornate a fare shopping, o anche il fratello adolescente che ruba e si droga. Come farà quel bimbo a fare i compiti di sentimento? Dovrà decidere di dimettersi da figlio, per non perdere la faccia davanti ai compagni e all’istruttore di emozioni. Il problema dunque non è l’educazione sentimentale a scuola. La gravissima mancanza della nostra attuale società, è che i genitori hanno abdicato il loro ruolo, preferiscono fare gli amiconi dei figli nella convinzione che così i figli si confidano e non si traumatizzano per gli interventi educativi. I figli invece crescono bene quando coscienziosi genitori cercano di insegnare loro, autorevolmente, la distinzione tra il bene e il male, l’amore e l’odio. Con la vicinanza, l’ascolto, la parola, l’esempio. Tutto il resto viene da sé nella storia che ciascuno costruisce con la propria vita e le opportune letture. Non ci può essere un professore di sentimenti, ma tutti gli educatori, in ogni disciplina, e prima di ogni altro i genitori, devono sapere trattare una materia così vitale da entrare nel pensiero, fino a trasformare l’anima per poi guidarne il comportamento.