In Francia, dove la divorzialità è pari alla metà dei matrimoni, dicono di avere inventato “Il salone del divorzio” e lo promuovono con la nota enfasi nazionalista. Peraltro assimilando divorzio e vedovanza in un unico contesto. Dimentichi che il coniuge morto è bonificato dal ricordo e dall’assenza, mentre l’ex coniuge ha la potenza di una mina vagante. In realtà questa patetica idea era già venuta agli austriaci che, appunto, nel 2007 avevano propagandato la loro “fiera del divorzio”. Un flop, evidentemente, se mai è stata ripetuta. Come dovrebbe accadere per la manifestazione parigina. Che denuncia, sin dalle grida pubblicitarie, la propria natura commerciale. Avvocati, psicologi, mediatori ma anche chirurghi estetici, immobiliaristi e persino organizzatori di viaggi, si proporranno al pubblico come indispensabili curatori del dolore e dello smarrimento. Ma perché, allora, non anche farmacisti, gioiellieri, pasticceri, concessionari d’auto e spacciatori di droghe? Tutto può essere giudicato opportuno per superare un periodo che si percepisce come fallimentare e che richiede una compensazione alla sofferenza: anche l’alcool, una escort, un trans o un gigolò. E per altri, più romantici, corsi di giardinaggio o di cucina. Dunque, chiunque può salire su di un carrozzone mercantile e vantare la bontà dei servizi offerti, sfruttando la debolezza di un pubblico afflitto da problemi che sembrano insuperabili. Un pubblico che, notoriamente e in buona parte, prima di arrivare dall’avvocato, si genuflette, angosciato e fiducioso, alle parole suggestive di maghi e cartomanti, tecnici dell’oroscopia ed esperti di macumbe. Cos’è, infatti, il divorzio? Un’esperienza estrema nella vita di una persona. Subìto o deciso che sia, è il momento in cui si deve chiudere la parentesi aperta il giorno – pure di valenza estrema – in cui si era deciso di unirsi per sempre con il partner che, già allora, poteva essere il futuro ex. Parentesi che racchiudono in sé figli, patrimonio, abitudini, storie, intrecci affettivi, piaceri e crucci. Vite complesse e concrete che col divorzio si sgretolano ognuna a modo proprio: ogni protagonista risorge o precipita con dinamiche personalissime, influenzate dai segni che ogni giorno – tra quelle parentesi – gli sono rimasti incisi nell’anima. Chi deve divorziare – anche nel senso di separarsi – deve fare i conti prima di tutto con quel viluppo di tormenti che gli invade la coscienza e che – con la volontà e la consapevolezza – si dipana progressivamente ogni giorno fino a srotolarsi quasi del tutto nel tempo del rinnovamento: forse al salone di Parigi è possibile trovare stand di gomitoli più facili da srotolare? Mi meraviglio degli psicoterapeuti e dei miei colleghi avvocati francesi. Chi si occupa della materia così delicata del diritto di famiglia, sa bene che i “clienti” non si trovano a un tanto al chilo nelle fiere strapaesane. Il rapporto con chi si assiste è il risultato di una precisa combinazione, di fiducia, confidenza e intimità, che non può crearsi se il professionista, oltre alla competenza, non è forte di esperienza e non è consapevole dell’unicità di ogni persona che gli si affida. Chi ha bisogno di un legale si interessa della sua storia professionale, vuole sapere da altri “come si sono trovati”; in genere, prima, sperimenta l’impatto con un approccio generico e poi decide. Da solo. Senza i suggerimenti urlati di una mostra piena di voci dissonanti e interessate al business corale. Dove non c’è umanità e nemmeno generosa attenzione, se non alla risonanza dei pacchetti di servizi in offerta speciale. Il dolore e la voglia di riparare a ciò che si avverte come un senso di ingiustizia della vita, richiedono il tepore di uno studio riservato e la certezza dell’ascolto qualificato. Ad personam, rigorosamente. In particolare, avvocato in latino significa “chiamato”. Dunque, egli deve essere ricercato, invocato dal possibile cliente. E mai starnazzare per attirarlo. Per non parlare degli psicoterapeuti e dei medici che, come gli avvocati, non possono garantire il risultato dell’opera da prestare. Ogni giorno i professionisti che si occupano di vite spezzate sopravvivono alla fatica e all’impegno di portare a termine senza danni complesse operazioni a cuore aperto. Con l’obiettivo, certamente, di fare rinascere gli assistiti, e per questo concentrandosi sulle loro vite. Quelli seri, non vogliono prendere per il collo coloro che passano ansiosi tra i vari settori, alla fiera lucrosa delle vanità. Sarebbero considerati evidenti il cinismo e l’assoluta mancanza di empatia, di chi pensasse di allestire sfarzose bancarelle per attirare sul mercato i feriti e gli invalidi di guerra e poi, strepitando, a gran voce, proponesse sulla pubblica via occhi e gambe di ricambio, garze ultra medicate e l’ipnosi per cancellare i ricordi. Questo, in sostanza, si apprestano a fare quelli che hanno aderito all’invito del cupo salone: promuoveranno servizi diversificati al pubblico dolorante di divorziandi in aumento e divorziati ancora feriti. Un callido calcolo speculativo del lutto altrui.