Un avvocato serio può esprimere pareri che riguardino la sua professione solo se ha a disposizione fatti e documenti che li comprovino. Dunque, quello che segue non è un parere ma un allettante guazzabuglio di ipotesi, per la gioia di chi è coinvolto con la curiosità nel clamore suscitato dalla richiesta di Veronica. Naturalmente, in qualità di avvocato, in particolare di avvocato che si occupa prevalentemente di diritto di famiglia, sono bersagliatissima di domande a proposito di Veronica, alle quali non so rispondere e non posso neppure farlo. Certo che gli aggettivi con i quali ho sentito qualificare la “richiesta” meritano di essere riferiti, se non altro per chiarire la natura del rimbombo mediatico. Sconveniente, sfacciata, inquietante, spaziale, ma anche impudica e provocatoria. Forse quest’ultima definizione può essere condivisa dai più, se non altro per la strategia che sembra esserci dietro questa storia infinita e al di fuori del territorio di noi comuni mortali. Noi che combattiamo tutti i giorni col costo del lavoro, e della vita, coi crediti inesigibili, con la necessità di ridurre il personale e con la continua contrazione dei canonici periodi di ferie. Intanto, bisogna spiegare che le notizie giornalistiche possono anche non essere la verità e, dunque, non è improbabile che la richiesta di Veronica non sia neppure contenuta in un ricorso regolarmente depositato (a Monza e a Milano sembra che non ne risulti alcuno); è possibile, altresì, che non sia questa la richiesta ed è anche ipotizzabile che la reboante cifra sia la base di una trattativa non ancora conclusa o definita con il due di picche; che sia comprensiva di cespiti patrimoniali o frutto della fantasia di qualche zuzzurellone. Facciamo finta che sia tutto vero. Che, cioè, Veronica abbia chiesto 3 milioni e mezzo di euro al mese a titolo di assegno di mantenimento, ossia 42 milioni di euro all’anno. Non sappiamo se l’importo comprende anche il costo del mantenimento dei figli o se sia destinato solo a coprire il tenore di vita che il Cavaliere, fino a oggi, ha garantito alla sua dama. In tal caso, starebbe a significare che Veronica chiede 42 milioni di euro, ma che, in realtà avrebbe bisogno “solo” della disponibilità netta di 21 milioni di euro. Infatti, l’assegno di mantenimento è soggetto alla falcidie fiscale, circa del 50%, tenuto conto della progressività delle aliquote incidenti. 21 milioni di euro all’anno significa 1 milione e mezzo al mese, circa 350 mila euro a settimana, più o meno 50 mila euro al giorno. Vale a dire 2 mila euro all’ora. Anche nelle ore di sonno. Come potrebbe reagire il giudice della separazione di fronte a questa richiesta, sempre facendo finta che sia vera? Alla prima udienza, quando il Presidente emana i provvedimenti provvisori e urgenti, la valutazione del magistrato è diretta ad approfondire se effettivamente tale urgenza vi sia. Se, cioè, chi chiede l’assegno sia privo di redditi a tal punto da non poter gestire la sua quotidiana sopravvivenza. Di regola, infatti, in quella sede si determina, con un calcolo approssimativo, un assegno per tutelare la parte debole nel tempo necessario a studiare documentazione ed evidenze istruttorie. Assegno che, al momento della sentenza, può essere rivisto, in meglio o in peggio, a seconda di come si è assolto il dovere di provare di avere diritto a ciò che si chiede. Va da sé che la misura dell’assegno deciso dal Tribunale è subordinata al definitivo passaggio in giudicato della sentenza, dopo tre gradi di giudizio (sono terrorizzata dai possibili dieci anni di domande). Pur continuando le parti richiedenti a riceverlo nel frattempo, per l’ammontare via via stabilito nel corso del giudizio. Facciamo sempre finta che la Signora abbia richiesto per sé 1 milione e mezzo di euro netti al mese (cioè, 2 mila euro all’ora) per ogni mese della sua vita futura. In teoria e stando alla legge, se riuscisse a dimostrare analiticamente, con estrema precisione e attendibilità che questo è il livello economico dello stile di vita finora mantenuto grazie al prodigioso e generoso marito, effettivamente dovrebbe averne diritto. Tuttavia, non si può trascurare di ricordare che la giurisprudenza ha più volte detto che “l’assegno deve essere determinato in modo da consentire che a entrambi i nuovi nuclei familiari che si formano (…) sia possibile mantenere un tenore di vita equivalente a quello goduto in costanza di matrimonio, se compatibile con il reddito attuale, complessivamente disponibile”. E neppure si può omettere di considerare che un conto sono i costi di una famiglia unita e formata da più persone, un conto è il tenore di vita che si ha diritto ad avere quando la famiglia è un ricordo e la responsabilità dell’autonomia una realtà. Le valutazioni dei magistrati nel calcolare l’equità di un assegno di mantenimento non possono prescindere, al di là della rigorosa prova sui costi effettivi del richiedente, dalla comparazione delle rispettive dichiarazioni dei redditi e dalla capacità patrimoniale di entrambi i coniugi. Stando a quel che si dice e presumendo che tutto sia vero, sembra che il marito in questione abbia un patrimonio di 6 miliardi di euro e la moglie di 27 milioni di euro. Di lei non si conosce la dichiarazione dei redditi (forse niente), mentre per quanto riguarda lui, nel 2005, era di 139 milioni di euro e due anni fa di 14 milioni e mezzo di euro. Se questa è la controfigura della realtà, la richiesta di 42 milioni di euro (magari compreso l’assegno per i figli) non sarebbe stata peregrina se proposta nel 2006. Infatti, l’assegno per moglie e figli pari a un terzo del reddito dell’altro coniuge ,costituisce prassi di molti provvedimenti giudiziari italiani e osservanza della corretta formula del Dott. Calabrò, già Presidente del Tribunale di Monza, che, però, prevede solo un quarto del reddito del coniuge forte a favore di quello debole, ove non vi siano figli. Diversa è la situazione oggi che, fatte le debite proporzioni e applicato lo stesso criterio, potrebbe vedere la richiesta accolta in 4 milioni di euro all’anno per moglie e figli.( circa un terzo di 14milioni) Ma abbiamo fatto tutti i conti senza l’oste. Oste che, in questo caso, è la domanda di addebito. Se viene accertata la “colpa” di lui, è escluso che per tale motivo un qualunque assegno ,stabilito all’incirca sui parametri che precedono, per ciò solo, possa lievitare. Se, viceversa, viene riconosciuta la “colpa” di chi richiede l’assegno – per esempio, per violazione di una qualsiasi forma di solidarietà morale e/o materiale – decade automaticamente il diritto a mantenere il tenore di vita matrimoniale, sopravvivendo solo quello al soddisfacimento dei più elementari bisogni (mangiare e dormire, secondo una media di costo stimabile per la maggior parte dell’umanità). Altra variabile e, quindi, altro oste col quale si dovrà fare il conto ,è il giudice scelto, e oggi non noto, che dovrà misurarsi in questa impresa obiettivamente benefica. Non si può tacer del fatto che per il Cavaliere è assai arduo trovare un giudice a Berlino. Tuttavia, quelli che in genere si occupano di separazioni hanno mirabile esperienza, personale precedente giurisprudenza e molto buon senso. E spesso giudicano anche con criteri oggettivi. Pur nell’unicità della questione che si troveranno a decidere, non potranno certo smentirsi, né creare un precedente troppo fuori dalle righe e dall’eticamente condivisibile. In tutti i casi, salvo nell’ipotesi (per quanto remota) di esonero dall’assegno per “colpa” di chi lo chiederà, lo Stato italiano perderà buona parte dei versamenti di uno dei suoi maggiori contribuenti, ma se li riprenderà da un’altra parte. Forse che lo sponsor della prossima finanziaria sarà Veronica? In nome della legge.