Quante scuse per non pagare noi avvocati

Anche io conosco il lato grottesco, a volte amaro, a volte persino divertente, del rapporto cliente-avvocato. Non so perché ma ho capito che per molti pagare il proprio legale costituisce un onere ingiustificato. Il non pagarlo è la vera vittoria. Tempo fa ho assistito una signora in una causa di divorzio durata quattro anni. Dopo il deposito degli atti finali e prima della sentenza, il quasi ex coniuge è morto all’improvviso. Pur solidale con il (non) dolore della cliente, dopo un rispettoso periodo, ho inviato la mia parcella alla vedova. Con una rapidità, mai dimostrata al ricevimento delle precedenti richieste d’acconto, la Signora si è immediatamente precipitata nel mio studio per affermare che non avevo diritto a un bel niente. A suo dire, essendo il marito morto per i fatti suoi, il mio lavoro era stato inutile, perché il divorzio non le serviva più. Anzi, suo marito aveva fatto un lavoro migliore del mio, giacché l’aveva lasciata erede di una casa che io non avrei mai potuto conquistarle. Un’altra signora, divenuta vedova del marito mio cliente, mi ha invece richiesto indietro le somme versatemi dal mio assistito in vita, quando il poveretto litigava furiosamente con lei e aspirava fortemente alla separazione, sostenendo che – essendo diventata erede universale del defunto – vantava a suo credito le somme, secondo lei ingiustamente, a me da lui versate molti anni prima. Ci sono poi alcuni che, essendo fans di uno dei miei generi, attore, pretendono sconti significativi solo per la gioia che mi danno nel momento in cui me lo dicono. Molte signore, poi, non badano ai miei conti finché c’è un gentile e segreto cavaliere che li paga. Quando lui si mette in salvo, nel mezzo della causa, trovano ogni argomento per dilazionare i previsti e concordati pagamenti degli onorari, per non onorarli mai più. E si appellano alla mia solidarietà femminile, piangendo sul loro destino di donne abbandonate da due uomini egoisti nel giro di poco tempo. Mi propongono persino di darmi, invece del denaro, una delle loro dieci Kelly di Hermés in acconto, perché i “pochi” soldi rimasti servono per la settimana bianca a Sankt Moritz. Il fatto è che molti clienti non apprezzano il lavoro degli avvocati, perché non lo toccano, non lo indossano, non lo vivono e non lo mangiano. Non escono dallo studio con qualcosa in mano, ma con aspettative altissime -malgrado qualsiasi prudente avvertimento – con la rabbia e un senso esagerato del proprio diritto leso. La maggior parte delle volte criticano l’ammontare della parcella, perché non conoscono il valore dell’esperienza e del pensiero. Dovrebbero imparare da questa storia. Un grande e impegnato imprenditore sull’orlo del crac, si trova con la sua auto a una cinquantina di chilometri dal luogo dell’appuntamento che gli può risolvere positivamente la vita. L’auto si blocca in una desertissima strada di campagna. Il cellulare è fuori copertura. Scende e si sente perso. Non c’è anima viva intorno. E’ angosciato e disperato, quando vede in lontananza un trattore in movimento. Ritorna in auto e comincia a lampeggiare furiosamente i fari. L’uomo sul trattore devia e procede lentamente nella direzione dell’auto in panne. Quando finalmente arriva nei pressi della macchina, l’imprenditore furente gli chiede di potersi agganciare per essere trasportato. Il contadino scende dal suo mezzo e prega l’imprenditore di aprire il cofano. Dopo una breve e accesissima discussione, l’imprenditore apre il cofano, il contadino si avvicina, guarda, prende un martello e infligge un colpo secco sullo spinterogeno. Richiuso il cofano, l’imprenditore riavvia il motore. Che funziona. Sorpresa e stupore. Malgrado la fretta, l’uomo, consapevole che anche la riconoscenza può non bastare, chiede al contadino il conto del suo intervento. “1281 euro”, risponde l’uomo del trattore. “Ma come, per un minuto di lavoro? Mi dica almeno come ha costruito questo strano prezzo”, domanda l’imprenditore. “E’ semplice” – risponde il contadino – “281 rappresenta la somma del costo della benzina, del consumo del trattore, dell’ammortamento del mezzo, del lucro cessante, perché non ho arato il campo in questo tempo a lei dedicato. 1000 euro, perché la mia esperienza e il mio intervento le hanno permesso in un solo minuto di risolvere il suo problema”. Un bravo avvocato sa che non è giusto il motto “causa che pende causa che rende”. Il cattivo cliente pensa, invece, che l’assistenza veloce e risolutiva non meriti alcun onorario per la sua evidente “facilità”. E’ vero che l’avvocato non deve e non può garantire il risultato; ma quando i mezzi messi a disposizione raggiungono velocemente l’obiettivo affidato dal cliente, perché non riconoscere pregio all’opera intellettuale del professionista? Non è certo più corretto premiare la lentezza di chi lavora a ore. Consoliamoci con Dickens. “se non ci fosse gente cattiva, non ci sarebbero buoni avvocati”.