Una femminista storica, Germaine Greer, icona del femminismo, l'”eunuco femmina”, si è comportata come una patetica Bovary, andando a raccontare al mondo, a settantuno anni, la sua antica a breve relazione sessuale con Fellini. Ora, non la si può definire certo gentildonna e tantomeno riutilizzare l’aggettivo “anarchica” del quale si è sempre fregiata. Un’anarchica, come una gentildonna del resto, non racconta ex post la sua storia di sesso, per di più condendola di dettagli da tinello, quali il colore del pigiama e il sapore del risotto. Una femminista autentica non scambia la sua dignità e la sua storia con una manciata di attenzione mediatica. La rivoluzione femminista è stata indispensabile alla crescita, sia della donna sia della società. Come tutte le rivoluzioni, si è proposta spesso in modi paradossali, anche volgari, tendenzialmente esagerati. Ma l’obiettivo era difficilissimo da raggiungere e i mezzi usati meritano indulgenza: le donne scontavano millenni di schiavitù fisica e mentale, si muovevano in un territorio davvero intriso di potere esclusivamente maschile, e i diritti delle donne non erano calpestati: peggio! Erano ignorati, inesistenti quasi, come se le donne non contassero, tranne che individualmente per qualche familiare. Oggi qualsiasi donna deve essere grata al movimento femminista che le ha consentito l’emancipazione: il voto, lo studio, la pari dignità giuridica dei sessi, la non sottoposizione al potere paterno o maritale, le medesime opportunità dell’uomo, la libertà individuale, la tutela della maternità, sono diritti indiscutibili. Il fatto di essere considerate, cioè, persone portatrici di diritti e competenze e non svalutate, o ignorate, perché donne è esperienza possibile per tutte. Che poi in concreto ci sia ancora tanto da fare, è ovvio: per una rivoluzione così epocale, meno di cinquant’anni sono pochi perché si riesca a resettare uno squilibrio millenario. Tuttavia la vera delusione oggi sono proprio le femministe: conformiste, vittime di se stesse, lagnose o pentite. Mai solidali con le donne e neppure rigorosamente critiche verso quelle donne che continuano a sfruttare le debolezze del sesso, mostrando così di disprezzare il pensiero femminista che voleva la donna libera e liberata. Chi si definisce femminista continua dolersi per ciò che manca, invece di apprezzare e valorizzare ciò che è stato conquistato. Si pretende soprattutto il potere, nella convinzione che solo dai luoghi di comando si riesca a completare il risultato della rivoluzione. Il che non è vero. Ogni donna nel suo ruolo personale, familiare, lavorativo e anche politico, se ce l’ha, dovrebbe dare il suo particolare contributo per confermare e accrescere il capitale guadagnato con la ribellione e nel fermento delle idee riformatrici. Invece, le donne, per comodità, per finto pacifismo, per interesse personale, per pigrizia, hanno rinunciato a occuparsi della propria raggiunta dignità e accettano passivamente, per esempio, che si lucri, si discuta, si sghignazzi sul corpo delle donne. Rinunciare vuol dire conformarsi, accettare, oggi, proprio ciò per cui si combatteva ieri. Dilapidando così il patrimonio raccolto col sudore e col sangue dalle 60/70/80enni di oggi, che hanno guadagnato i nostri diritti odierni combattendo contro l’ostracismo e nello sberleffo della società misogina. La stessa che oggi, spavalda e goduriosa, si sta riappropriando dei territori allora invasi dal pensiero forte femminile. Sul corpo delle donne, deprivandole dell’anima, stiamo subendo passivamente il passaggio dalle femministe che bruciavano i reggiseni, alla cultura seduttiva del push-up e del seno al silicone. Senza che le donne, per prime, e ciascuna nel suo mondo, si ribellino: la madre, la maestra, la pubblicitaria, l’autrice televisiva, la professionista, la regista, l’attrice. Tutte dominate, invece, dall’unico uomo che dovrebbero abbattere: quello che hanno partorito nella loro testa, icona della maschilità come mezzo di conquista del denaro, del potere, della sicurezza sociale. E che loro tentano di accalappiare, come nei bui secoli scorsi, col mercimonio seduttivo del corpo. Basta, dunque, chiedere e lagnarsi. Bisogna fare ed essere coerenti: è necessario difendere l’anima femminile, il corpo, l’orgoglio della maternità, del ruolo, la libertà di essere e di fare, la differenza nella parità. Onorare il pensiero femminile ogni giorno e in ogni luogo, senza tradirlo nella rassegnazione o nella delega. Questo fiume impetuoso della rivoluzione, che ha ridato vita alla potenza femminile, deve essere ripulito. E’ stato inquinato e intorbidato dall’accontentarsi, dalla pigrizia, dai timori quotidiani, dalla sottomissione, dalla paura della solitudine. Dalla mancanza di consapevole autostima e di conoscenza della storia dei diritti femminili. Tutte noi donne, e soprattutto le conformiste (e così inutili) femministe, dobbiamo ricominciare a sentire un po’ di collera verso chi, uomo o donna, ha dimenticato le macerie del passato e impone la retromarcia della civiltà. Una collera che deve essere trasformata in un fuoco collettivo. Non come quello delle streghe, aggressivo e distruttivo, bensì capace di far cuocere alla giusta temperatura tutti gli ingredienti vitali che, quel formidabile impetuoso fiume rivoluzionario ci ha permesso di raccogliere. Affinché, finalmente appagate, li possiamo gustare e con loro nutrire questa e le generazioni che verranno.