Tanto tuonò che piovve. La separazione dell’anno, come è ovvio e dunque come si aspettavano gli addetti ai lavori, sembra essersi risolta come la maggior parte delle procedure di questo genere. Quando è stata annunciata, sono state scritte centinaia di pagine per descrivere il patrimonio di lui e di lei. Giornalisti golosi e curiosi hanno passato le nottate a ipotizzare spostamenti tellurici di territori azionari dei coniugi, tanto da preconizzare crolli di azioni, slittamenti dei confini del potere di ciascuno, scosse sussultorie al prestigio sociale dell’eventuale perdente. Niente di tutto questo. Il terremoto non c’è stato, perché non poteva esserci. All’udienza di comparizione delle parti litiganti, il Presidente non può fare altro che fissare un assegno provvisorio di mantenimento per il coniuge, se più debole economicamente e per i figli; decidere sull’affidamento dei figli e concedere l’assegnazione della casa coniugale (che è un diritto a goderla come «ospite» a tempo, e non un trasferimento in proprietà) al genitore con il quale vivrà la prole. L’assegno per i figli – e di conseguenza il diritto di abitare la casa – è subordinato al raggiungimento dell’autonomia economica dei figli stessi. In questo panorama giuridico e giudiziario, molteplici sono i parametri che il presidente valuta per assumere una decisione equa, ma temporanea. Valida cioè finché non sarà esaurita l’istruttoria e il tribunale avrà tutti gli elementi per decidere in via definitiva. Oppure finché le parti, pur avendo scelto la via giudiziale, non trovino un accordo per trasformare il conflitto in transazione. Come sembra stia avvenendo o sia avvenuto nel caso specifico. Il codice impone al magistrato di tenere conto del tenore di vita, della capacità economica dei coniugi, delle esigenze dei figli, del tempo dedicato da ciascuno alla cura, crescita e formazione dei figli. Non ci sono tabelle (come per esempio in Germania) che definiscano oggettivamente quale parte di reddito destinare alla famiglia separata. Né vale il principio peregrino che per crescere un figlio basti una certa minima cifra. Si deve tenere conto, e gli avvocati devono provarlo rigorosamente se vogliono dare soddisfazione al cliente, dello stile di vita familiare, cioè del complesso delle spese e delle opportunità che entrambi i coniugi hanno scelto di affrontare e godere nel corso della vita matrimoniale. Ogni famiglia ha dunque una sua peculiarità. La famiglia separata ha diritto al mantenimento del tenore di vita goduto, ma anche il coniuge più forte, obbligato al pagamento, ha esigenze vitali nel rispetto del criterio di parità di diritti e doveri. Entrambi i genitori, naturalmente, in proporzione alle rispettive capacità economiche, devono contribuire al mantenimento della prole. L’assegno destinato al coniuge, ma non quello per i figli, è interamente deducibile dal reddito di chi lo versa e soggetto a tassazione per chi lo riceve. Le indiscrezioni, nei casi notori come quello di cui si parla, corrono rapidamente sul filo, pur essendo da ascoltare con beneficio d’inventario. Ebbene, si dice, che a fronte della richiesta iniziale della moglie di un assegno annuale di 43 milioni di euro, il Presidente l’abbia convinta a doversi accontentare di 7. Un po’ come, in proporzione, se la casalinga di Voghera ne avesse chiesti 12 all’anno per riceverne 2. Un abbattimento inusuale, in verità, anche per il più severo dei giudici. Ma un grande successo, per chi dovrà pagarlo: se i 7 milioni sono tutti per la moglie, il beneficio della deduzione fiscale «consentirà» in pratica al fortunato marito separato di avere un costo effettivo di soli 3,5 milioni. Che è poi la stessa cifra di cui potrà godere la moglie, pagate le imposte. Cioè 300mila euro al mese. Proprio come aveva offerto lui, oltre al godimento della casa, più familiare che coniugale in verità. Dunque. La legge è davvero uguale per tutti. Alla separazione si discute solo di casa e assegni, fatte le debite proporzioni economiche tra i Berlusconi e i Brambilla. Per accapigliarsi sul patrimonio, ci sono invece le norme successorie, come ben sanno gli Agnelli. A babbo morto, però.