Secondo una ricerca inglese, in Gran Bretagna il numero delle donne ricche è più alto di quello degli uomini. Vabbé che in Inghilterra c’è la regina, e che vi abitano Victoria Beckham, Catherine Zeta Jones e l’autrice di Harry Potter, per non dire della vedova di George Harrison o della moglie di Ecclestone, ma se per ricche consideriamo tutte coloro che hanno un patrimonio superiore a 600 mila euro (parametro della ricerca) anche in Italia le signore non sfigurano per nulla. Anzi. Basti pensare a quante – e sono tante – si ritrovano a essere titolari di case, aziende e quote societarie per strategie fiscali dei loro mariti o padri. Basti solo ricordare anche le vedove o orfane di ricchi imprenditori. Ma ci sono anche le divorziate molto bene, grazie a liquidazioni una tantum contrattate con accortezza. In Italia ci sono però altrettante donne sicuramente titolari di patrimoni (di almeno 600 mila euro) costruiti per soli meriti propri: capitane d’industria, cantanti, star televisive e libere professioniste in ogni settore. Trascuro per buon gusto le escort, le truffatrici e chiunque altra abbia accumulato denari propri e altrui in forza di uno o più reati. Non voglio esagerare in questa rivendicazione del primato femminile…. Fatto sta che, anche secondo me, le donne sono più capaci – soprattutto se sole – a mantenere la ricchezza acquisita direttamente o indirettamente. Perché hanno più paura del futuro, perché nel passato erano psicologicamente e concretamente schiave del denaro maschile, perché accumulano per poter un giorno distribuire tra i figli, così tramandando anche la propria protettività. Per una donna, infatti, il denaro è sicurezza, mentre per l’uomo è potere, anzi simbolo di potenza virile. Dunque, deve essere esibito, giocato, rischiato. La sicurezza sta nell’avere e nel tenerselo stretto il denaro, pensano, invece, le donne. Tant’è vero che il gioco in Borsa è un’attività più maschile che femminile: gli investimenti delle donne non sono mai – salvo le ovvie eccezioni – rischiosi, tant’è che i preferiti sembrano essere il mattone e le polizze vita (anche sulla vita del marito) o a futuro rendimento. Del resto si sa che le femmine, come laboriose formiche, raccolgono per istinto e per tradizione il grano da riporre nel granaio, mentre gli uomini preferiscono giocare sull’aia a chi tira il chicco più lontano. Infatti di donne che finiscono sul lastrico non si sente raccontare, mentre di uomini che perdono la fortuna al gioco o con le donne, son ricche le cronache. Gli uomini – salvo gli avari patologici – non sanno resistere alle lusinghe onnivore delle amanti, e le donne, appunto, sanno come spennare la selvaggina con pazienza braccata. Difficilmente, invece, le donne sperperano il denaro per trattenere un uomo, consapevoli del valore del soldo ma anche della propria, eventuale, rinnovabile seduttività. Dunque, mi pare di poter dire che, se la donna è più uterina e spesso sconclusionata nei sentimenti, addirittura perdente quando non è capace di lungimiranza, è invece vincente nella politica economica e amministrativa delle proprie sostanze. Il che potrebbe suggerire, dando un senso costruttivo al risultato della ricerca inglese, l’opportunità che il Governo degli Stati possa essere più frequentemente affidato alle donne: se in grado di governare al meglio i propri patrimoni, perché non credere che sarebbero capaci di applicare lo stesso istinto e la medesima esperienza al governo dello Stato? Sempre di politica economica e amministrativa si tratta, e con la certezza che il potere di gestione del denaro pubblico, non potrebbe, quantomeno, deteriorarsi in comportamenti confusivi tra potere e potenza virile.