Il Tribunale per i minori di Trento ha tolto a una madre il suo bimbo appena partorito. E questo, pare, perché la madre ha un reddito di sole 500,00 euro al mese. E’ all’evidenza un fatto inaudito, di fronte al quale Erode sembra un dilettante, tenuto conto che ha agito oltre 2000 anni fa, quando non c’erano Costituzioni, leggi, garanzie e i principi del welfare degli Stati. A volte anche nei Tribunali per i Minori non esistono le leggi, non c’è garanzia di difesa, il principio del contraddittorio è una vera utopia, gli avvocati difensori sono trattati come elemosinanti fastidiosi. A fare da padroni sono assistenti sociali, giudici non togati, cancellieri che, con la scusa della privacy dei minori, quasi ti costringono ogni volta a superare l’esame d’avvocato prima di farti accedere a un fascicolo. A parte pochissimi Giudici illuminati, nei Tribunali dei Minori italiani c’è la cambogia del diritto. Come dimostra questo caso, reso noto in questi termini da uno psicologo giustamente indignato, espressione di una violenza insopportabile che non dovrebbe neppure sfiorare il territorio sacro del diritto e dei diritti. Sembra dunque, ma se non è così qualcuno dovrebbe chiarirlo, che una ragazza di vent’anni, dopo essersi rifiutata di abortire, si sia vista sottrarre il bimbo neonato perché già inserito in una procedura di adottabilità. Posto che neppure a una cagna si sottraggono i cuccioli da allattare, è d’obbligo che lo Stato dia una spiegazione a questo scempio giuridico, giudiziario e affettivo. E se c’è da rettificare la notizia, si affretti a farlo prima di allargare l’ennesimo panico da inefficienza o invadenza statale. Come possono giustificare i Giudici del Tribunale di Trento la loro decisione, a fronte dell’articolo 31 della Costituzione? Che dice: “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituto necessari a tale scopo”. Proteggere la maternità e l’infanzia, non significa togliere i figli alle madri se inadeguate, ma aiutare le madri sfortunate anche con il sostegno economico, oltre che con l’assistenza domiciliare di tutti quegli ausiliari dei giudici minorili che, invece, amano esercitare il potere togliendo i figli alle madri. Mi piacerebbe potere andare a fondo di quel parallelo procedimento di adozione per cercare di capire qualcosa che mi sembra davvero allarmante, cioè il perché dell’immediatezza dello stato di adottabilità di un bimbo che la madre non ha rifiutato. E qui per una volta, se così davvero stanno le cose, si dovrebbe anche inquadrare, oltre qualsiasi confine garantista, la responsabilità del Giudice che ha preso le decisioni parallele, contro il chiarissimo e categorico principio della legge sull’adozione: “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Le condizioni di indegenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e aiuto”. Non sono mie opinioni o speranze, ma leggi che i giudici dovrebbero conoscere e applicare. Assieme alle storie dei singoli individui che hanno la sventura di capitare in quei corridoi e in quelle aule e non sempre sono trattati da essere pensanti, affettivi, capaci e soprattutto soggetti di diritto. Questa povera madre, subito orfana di suo figlio, aveva rifiutato di interrompere la gravidanza per rispetto alla vita di una creatura che lo Stato, poi, non ha rispettato. Ma avrebbe collaborato, prima, per legge, all’aborto. La conclusione dovrebbe essere che lo Stato favorisce l’aborto ma non la nascita di una famiglia? Eppure l’articolo 1 della legge sull’aborto dice: “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Forse il Giudice di Trento è convinto di avere tutelato una vita umana. La sensazione più immediata, invece, è che ne abbia devastate due. Per proteggere la maternità e l’infanzia, sono stati istituiti, dal 1975, i Consultori familiari con il compito di aiutare le donne a evitare gli aborti, rassicurandole e sostenendole dopo la nascita dei figli. Perché un Giudice ha preso decisioni che un Consultorio avrebbe potuto scongiurare? Perché sono stati trascurati almeno i tre principi fondamentali del nostro diritto a tutela dei neonati, qui ritrascritti, e nessuno, fra tutte le persone coinvolte in questo brutto caso, ha pensato un solo minuto all’opportunità di evitare una vera tragedia esistenziale? Forse perché quando non si ha la responsabilità personale (cioè non si pagano di tasca propria gli errori) ma si sentenzia “in nome del popolo italiano”, tutto si fa (ma non tutti, fortunatamente) con spensierata superficialità. Al di là della legge e della vita degli altri.