Donne che uccidono gli uomini, ci sono da sempre. Ma gli uomini sono sempre stati incapaci di costruirsi un network protettivo e denunciante, come invece hanno saputo fare le donne: è la ragione per cui, di fatto e mediaticamente, è “passata” l’immagine maschile di carnefice più che di vittima. Naturalmente, per disparità di forza fisica e sociale, gli uomini maltrattati e uccisi sono stati nel tempo in numero obiettivamente residuale. Ora il fenomeno, però, pare essere in aumento. Così almeno ci viene detto dalla Francia, dove è apparso uno studio secondo il quale ben 27 uomini (uno ogni quindici giorni) sono stati uccisi dalle compagne nel 2008, contro 157 donne uccise dai partner (una ogni 5 giorni). Centodiecimila uomini hanno denunciato di essere vittime di violenze coniugali, torture, ferite, botte, minacce e barbarie di ogni genere. Il coraggio della denuncia mostra il bisogno di riscatto della propria identità. La virilità, così come da sempre percepita, oggi è umiliata da donne violente. Si dice, però, che i 110.000 denuncianti rappresentino solo il 5% del numero reale . Non è poco. E se se ne parla così, vuol dire che, finalmente, è crollato un tabù, costruito sia dagli uomini sia dalle donne. I primi per vergogna, le seconde per non turbare gli schemi femministi di autoprotezione del genere. Tutt’al più si è discusso a volte della differente matrice della violenza: fisica nell’uomo, psicologica nella donna. Il che non sempre è vero, tanto più oggi. Ora, infatti, giusta la progressiva emancipazione della donna, sembra ci sia anche un nuovo modo di esprimersi della criminalità femminile, mascolinizzatasi essa stessa. La donna ha voluto opportunità e diritti uguali all’uomo, ma si è appropriata anche delle medesime armi offensive contro le quali aveva per millenni dovuto difendersi. L’arroganza, l’aggressività, la violenza. Armi accompagnate spesso da pistole coltelli, corde, cuscini, rasoi e martelli. Una volta la callida violenza femminile si esprimeva, silenziosa, in prevalenza con il veleno, arsenico e stricnina, ed era motivata essenzialmente da ragioni economiche o bisogni esasperati di vendetta. La donna uccideva attirando la preda, con la tecnica del ragno, nella propria rete domestica. Lontana dalla luce, invisibile agli altri e padrona del territorio. Probabilmente le vittime erano, e sono in verità, con queste modalità ancora attuali, molte di più di quelle scoperte. Le vedove nere processate, infatti, sono certamente in numero inferiore a quelle reali. Tuttavia oggi le ragioni che spingono le donne a uccidere, paiono più complesse e sofisticate, non suggerite solo dal bisogno di difesa, bensì anche dalla necessità di competizione. Diventano criminali, perciò, non soltanto le abusate – nella mente e nel corpo – ma anche quelle che, come gli uomini, vogliono eliminare gli ostacoli dalla loro vita, vogliono vendicarsi di affronti personali o sociali, vogliono competere con la forza del nemico. Per superare la propria inadeguatezza, un tempo la donna cercava un marito che fosse scudo al mondo; oggi uccide il marito che non risponde alle sue aspettative eliminandolo così dal proprio mondo. Una volta la femmina sopravviveva celebrando il proprio sontuoso ruolo di vittima, rifiutando persino l’aiuto di chi la voleva salvare; oggi provvede da sé a trasformarsi da vittima in carnefice, usando armi non più silenziose ma sanguinarie. Non che Medea, Lucrezia Borgia o la saponificatrice Leonarda Cianciulli fossero improvvisati angeli vendicatori, ma rappresentano pur sempre fenomeni eccezionali nei rispettivi tempi vissuti. Al di fuori di ogni statistica. Tanto da essere rimaste proverbiali per la loro indicibile, massacratoria violenza. Oggi, stando al sondaggio francese, il fenomeno sembra assumere i contorni dell’emergenza sociale. A maggior ragione se lo si collega all’incredibile, preoccupante, diffusione delle madri che uccidono i propri bambini. Anche con sorprendente serialità, come abbiamo letto nelle cronache di questa estate che ci hanno raccontato di numerosi corpicini sepolti nel giardino di una sola famiglia. Eliminati dalla mano della loro madre dopo averli partoriti. La donna, in questo scenario, deve essere vista in una prospettiva nuova e inquietante, che celebra il funerale della storica figura femminile, incardinata esclusivamente nella funzione di dare, nutrire e proteggere la vita. La donna, in quanto tale, non può più essere considerata acriticamente la parte debole. Ogni coppia ha la sua storia che, di volta in volta, deve essere indagata senza pregiudizi. Perché la donna ha mutuato dal maschio il gusto, anche acre, del potere e della sopraffazione. A costo della vita altrui. Il che fa ingiustamente dimenticare – pur rimanendo fermo e gravissimo l’allarme sociale sul punto – il silenzio dolente di tante donne, morte ogni giorno della loro vita sotto i colpi di maglio degli uomini che hanno scelto e non hanno mai denunciato per non disonorarli. Quelle donne mai hanno maltrattato o ucciso gli uomini cattivi che abitano la loro vita: preferiscono immolare sé stesse e sopprimere l’orgoglio personale piuttosto che il padre dei propri figli. E’ meglio un mostro in casa o un uomo sottoterra?