Ma l’utero in affitto ai gay sfratta la dingità delle donne

Elton John ha finalmente soddisfatto la sua voglia di paternità (o maternità?) ricorrendo a una mamma a tempo, incubatrice di un embrione costituito dal suo seme (o da quello del compagno?) e da un’ovodonazione di segreta provenienza. Come del resto aveva già fatto Ricky Martin e come continueranno a fare molte coppie omosessuali. In particolare, perché l’adozione per loro è ancora più lunga e complicata che per le coppie eterosessuali. Così, però, la donna ha raggiunto l’apice della strumentalizzazione: usata a tempo, per la sola gestazione, come una valigia, un’anfora, un carrello del supermercato. Deprivata, per contratto, d’ogni sogno, pensiero, emozione, sentimento legati alla creazione di una vita dentro di sé. Forse sono vittima di un pregiudizio, ma non riesco ancora a capire e giustificare la maternità surrogata. Non sono d’accordo sul principio che il desiderio di maternità sia un diritto e come tale vada tutelato, stando ai concetti espressi dal giudice romano dottoressa Schettini, quando autorizzò, nel 2000, una coppia a impiantare l’embrione, da fecondarsi in provetta, nell’utero di un’amica, purché questa lo accettasse senza scopo di lucro. Non sono neppure d’accordo, soprattutto, nell’interpretare la sterilità come una patologia da aggirare con audaci metodi scientifici, invece che un segnale del destino. Sono del parere, piuttosto, che bisognerebbe dare una famiglia a tutti i bimbi rimasti soli, e non un bimbo, ottenuto con metodi spericolati, alle coppie infertili. Ma questa è un’opinione personale; come lo è la più rigorosa opposizione alle pratiche abortive che, tuttavia, non mi ha impedito di combattere, a suo tempo, perché ci fosse una legge idonea a tutelare la salute e la psiche di chi contraria non è. Uno Stato laico, del resto, deve tener conto della pluralità dei pensieri dei suoi cittadini e non può trascurare le minoranze. Se il progresso scientifico, con coraggio e audacia, propone nuove soluzioni per superare il problema della sterilità, è giusto che lo Stato se ne faccia carico predisponendo direttive e regole che cautelino i cittadini dall’improvvisazione e dagli inganni. In Italia, invece, nulla di tutto ciò. Non se ne discute, entro i confini nazionali, se non nel codice deontologico medico, che vieta la fecondazione in utero per conto terzi. Eppure è dal 1985 che si è affermato, nel mondo, questo nuovo metodo riproduttivo: Kim Cotton, in Inghilterra, è stata la prima locatrice del proprio ventre. Da allora, la pratica si è diffusa, oltre che nel Regno Unito, in America, Canada, Russia e Ucraina, Spagna e India, Paesi nei quali c’è una legislazione accurata e puntuale che salvaguarda i genitori biologici da eventuali inadempienze delle precarie portatrici di gravidanza. Questa è la ragione per cui, ormai, molte coppie sterili e gay viaggiano, anche dall’Italia, per dedicarsi al, non più avveniristico, shopping di pance. Le vetrine sono invitanti e in grande competizione fra loro. L’America ha un’organizzazione avanzatissima, ma l’Ucraina non si fa per nulla criticare. Ho scoperto che lì viene offerto un pacchetto vip per maternità surrogata, a 30mila euro. Tutto compreso: dalla prima visita al rilascio dei documenti anagrafici e del passaporto per il neonato, passando attraverso la scelta della madre surrogata, calcolando il costo dei servizi medici e medicali, legali e alberghieri, fino alla previsione, addirittura, di interpreti, ristoranti ed escursioni turistiche. Il che mi inquieta. Per quella briciola di calcolo allettante che intravedo. Il problema è grande e non è solo degli Stati laici. Che può dire il Vaticano di tutto ciò, quando la prima maternità surrogata la si trova nella Bibbia? Abramo, infatti, si racconta, con l’accordo preventivo della moglie Sara, sembra abbia generato un figlio «prendendo in prestito» il corpo della schiava Agar. Senza ormoni, medicine e agoaspirazioni, probabilmente con l’indispensabile passione estemporanea, ma pur sempre usando la donna come semplice cavità. E che possiamo dire, tutti noi, quando forse stiamo assistendo all’ennesimo percorso evoluzionistico, che porterà all’uguaglianza assoluta e definitiva del maschio e della femmina, fino a non poter più esclamare «viva la differenza»?