Se il matrimonio dura una vita non si può più annullare

Il matrimonio concordatario è quello contratto secondo le regole del diritto canonico (in Chiesa) e che, in forza della trascrizione nei registri dello stato civile italiano, ha effetti nel nostro ordinamento. Quando se ne è chiesta la nullità alla Rota Romana, e la si è ottenuta, la relativa sentenza può acquistare effetti civili, cioè essere valida, oltre che per lo Stato del Vaticano anche per lo Stato italiano, solo con il superamento positivo del procedimento di delibazione, che si svolge davanti alla Corte di Appello italiana. La sentenza di nullità del tribunale ecclesiastico non deve però essere in contrasto con i principi del nostro ordinamento civile. Per cui è possibile che i vizi del consenso accertati nelle sentenze ecclesiastiche, e che hanno significativa importanza nell’ordinamento canonico, non siano rilevanti perché in contrasto col nostro ordine pubblico: i nostri principi giuridici, infatti, prevedono che sulla formazione della volontà dei nubendi, viziandola o facendola mancare, possano incidere solo cause esterne e oggettive. Da escludersi, quindi, la riserva mentale che, invece, ha grande importanza nel diritto canonico. Il nostro ordine pubblico, che si identifica con i cardini della Costituzione, con i valori e con i principi essenziali della nostra coscienza sociale, e con le norme inderogabili vigenti in materia matrimoniale, tende a tutelare la buona fede dei coniugi e la stabilità del rapporto. La famiglia, per di più, è espressamente tutelata, come tale, dalla Costituzione. Infatti, l’annullamento del matrimonio civile (cioè contratto in Comune) non si può ottenere, neppure per cause oggettive, se c’è stata coabitazione dei coniugi per oltre un anno, dalla cessazione delle cause invalidanti, salvo casi particolari di sanabilità. Perfino se c’è stata simulazione, vale a dire quando gli sposi abbiano concordato, sin dalla celebrazione delle nozze, di non adempiere agli obblighi che ne discendono, si deve chiedere la dichiarazione di nullità entro l’anno. Il principio fondamentale, di ordine pubblico, è quello per cui la validità del matrimonio non debba restare sospesa oltre il tempo strettamente necessario. La Cassazione si è, dunque, pronunciata in termini omogenei al nostro Codice e alla pregressa giurisprudenza, cassando la decisione della Corte di Appello di Venezia che aveva delibato la sentenza di nullità di un matrimonio durato venti anni, malgrado la moglie avesse avuto da subito la riserva mentale di non procreare. Secondo il nostro Codice Civile, il matrimonio si basa sul reciproco consenso dei coniugi alla comunione di vita morale e materiale. Il consenso è revocabile in ogni momento, anche se non c’è una colpa dell’altro: ne è prova il diritto alla separazione, che può essere esercitato per il solo fatto che non si ritenga più proseguibile la convivenza quando è oggettivamente intollerabile. Il fatto stesso che un matrimonio duri vent’anni, dimostra che il consenso allo stare insieme, indipendentemente dalla mancanza di figli, si è rinnovato sistematicamente e stabilmente nel tempo, da parte di entrambi i coniugi. Malgrado il permanere della riserva mentale. Per il nostro Stato, una famiglia c’è stata, e quindi è inaccettabile e contraria all’ordine pubblico la dichiarazione della sua inesistenza fin dall’origine (questo è il senso della dichiarazione di nullità). La separazione prima e il divorzio poi, revocato il consenso, portano ad affermare, invece, che la famiglia che c’era è venuta meno. La differenza tra famiglia mai esistita e famiglia che ha cessato di esistere, è significativa sul piano patrimoniale: con la delibazione della sentenza di nullità, i coniugi perdono qualsiasi aggancio economico tra loro, in particolare con riferimento ai diritti – doveri di mantenimento e alle aspettative successorie. Col divorzio, invece, si onora la famiglia che c’è stata, con le obbligazioni economiche post matrimoniali. Ecco perché, nella corsa alla conquista dei diritti e della libertà, il coniuge povero cerca di ottenere quanto prima il divorzio, mentre il ricco aspira all’annullamento per archiviare la sua vita senza costi. Con buona pace degli affaticati giudici, religiosi o laici che siano.